«I più grandi, classe 2003, sono rassegnati e tristi. I più piccoli, nati nel 2006 e 2007, sono un po’ più motivati ma hanno ripreso a fare la lotta, a cercarsi fisicamente. Del resto gli allenamenti a distanza, nel mio sport, sono un controsenso. Per dirla con una metafora, è come dare appuntamento a una ragazza ma vedere arrivare, al suo posto, una persona con la foto di lei. E, con quella foto, doverci parlare e andare a cena». Alessandro Zauli, allenatore di due squadre di calcio alla Compagnia dell’Albero di Ravenna, sta attraversando come molti colleghi un periodo non facile, che lo ha portato anche a scrivere una lettera al presidente del Settore giovanile e scolastico della Figc. Lettera che mette in evidenza una situazione, quella dello sport per bambini e ragazzi in tempi di Covid, di grande vuoto e limitazioni: «Il 18 febbraio prossimo sarà passato un anno dalla nostra ultima partita ufficiale. Io so che ci si allena per divertirsi, per stare in salute, per muoversi. Ma ci si allena anche per la partita, specie quella della domenica. A questo punto, io quei bambini e i quei ragazzi che continuano a frequentare dovrei solo ringraziarli per non avere mollato».
Dopo 36 anni come allenatore dei più giovani, in possesso del patentino da professionista, Zauli un’idea di come, anche prima del Covid, stessero le cose nel suo settore l’aveva eccome: «Siamo in un Paese nel quale i più piccoli e i più giovani sono i meno considerati, in cui in tanti anni di lavoro non ho mai allenato in un campo decente. A farmi arrabbiare, ora, è la mancanza di certezze sulle possibilità di contagio nel calcio, in spazi aperti. Ci chiedono di stare distanti ma non ci dicono che rischi corriamo se non lo facciamo».
E la fatica, dopo molti mesi ad aspettare una ripartenza che chissà quando avverrà, c’è stanchezza: «La fatica più grande è evitare che i bambini e i ragazzi si spengano. Li abbiamo demonizzati perché stavano davanti a uno schermo ma li abbiamo rimessi davanti a quegli stessi schermi, impedendo loro, almeno nella prima fase, persino di scendere a giocare in cortile. Qualche giorno fa sono stato ad ascoltare i loro discorsi. I grandi parlavano di tamponi, i piccoli di zona gialla e zona arancione. Mi ha fatto male. Ho ripensato alla mia, d’infanzia. E li ho percepiti sofferenti. Per quanto siano stati considerati untori, per quanto da molte parti si continui a minimizzare il loro disagio in questi tempi strani, io ne colgo tutta l’inerzia. E se l’errore più grande, per un adulto, è dimenticarsi di essere stato un bambino, allora io continuo a indignarmi per il periodo che stanno passando».
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