
“Capisco la rabbia e l’amarezza. E dall’altra parte anche la necessità di mettere l’altalena in sicurezza”. Sul caso di Imperia Elvira Cangiano, che vive a Rimini e ha tre figli, di cui due (una bimba di dieci anni e un bimbo di sette) in carrozzina per una malattia genetica che impedisce loro di camminare, non ha dubbi: “Il problema è molto più ampio. E riguarda il senso civico, l’educazione, il rispetto per gli altri e per il bene pubblico. Nello stesso parco inclusivo di piazzale Fellini, che ho convinto l’Amministrazione a progettare, capitano cose impensabili: da poco, per esempio, è scomparso un fiore parlante, di quelli dove ci mette l’orecchio per ascoltare la voce che arriva dall’altra parte. Così come a Santarcangelo, tempo fa, ho visto fare un uso improprio dei giochi pensati per i bambini disabili ma anche di quelli per i normodotati. Ecco, siamo davanti a una questione enorme: la civiltà”.
Certo che è che Elvira, che il mondo della disabilità lo conosce sulla propria pelle, all’altalena per carrozzine inserita in un parco tradizionale, il più delle volte senza eccessiva sorveglianza, preferisce un parco giochi inclusivo, dove più giochi possono essere utilizzati da tutti: “Il discorso che dev’esserci alla base è diverso: per superare le barriere, sia mentali che architettoniche, costruiamo parchi a misura di tutti, dove i bambini – non importa in che condizioni – possano condividere, giocare insieme, scambiarsi due chiacchiere”.
Prima che a Rimini aprisse il parco inclusivo, i figli minori di Elvira (la più grande ha invece 13 anni) chiedevano spesso alla madre di andare a giocare su scivoli e altalene: “Ogni volta mi dovevo inventare una scusa. Oggi, invece, di giustificazioni non ne ho più. E loro sono tenerissimi quando mi chiedono di andare nel ‘loro’ parco. Certo, non tutto fila liscio: è capitato di vedere una bambina seduta nell’altalena di fianco a quella di mia figlia allontanarsi, così come è frequente sentire addosso gli sguardi della gente quando prendo in braccio i miei bambini per posizionarli sullo scivolo o a sull’altalena a cesto. Qui c’è un problema culturale ma servono piccoli grandi passi come questi per cambiare le cose: già si è capito, almeno spero, che i bambini disabili non sono extraterrestri incapaci di provare piacere. Andiamo avanti”.
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