Giada Sundas: “Io, mamma ribelle perché così normale”

Giada Sundas

Diventare mamma a 21 anni ha un incontrovertibile vantaggio: crescere insieme ai propri figli, nel suo caso la sua bambina Mya, di quasi tre anni. L’altra faccia della medaglia è che gli amici, del tutto ignari di cosa sia la maternità, non ti invitano più a uscire, anche se senza cattiveria, “perché pensano, semplicemente, che tu non possa”. Giada Sundas è una delle mamme scrittrici alla ribalta. Perché “Le mamme ribelli non hanno paura” (Garzanti) è un divertentissimo racconto dal test di gravidanza  – fatto nel bagno di un centro commerciale – ai primi anni di vita dei bambini, dove le frustrazioni e la stanchezza, così come il senso di impotenza, vengono presi con filosofia, ironia e sdrammatizzate a suon di risate. Cosa non scontata in tempi di manuali.
Giada, oggi è insolito fare un figlio alla sua età. Ha avuto molti momenti di sconforto?
“Sì, eccome. Da un lato quando diventi mamma presto hai la sensazione che stai perdendo tanto, della tua vita. Dall’altro mi sono scontrata con una marea di falsi miti, dall’incanto della gravidanza alla magia del parto. Si sentono così tante cavolate sul tema maternità che quando ci sei in mezzo non puoi non trovarti a disagio. Per fortuna, quando ti confronti con le altre mamme, scopri che quella sensazione di impotenza la provano bene o male tutte. Forte della mia giovane età, in quei molti momenti mi ripetevo che a trent’anni avrei avuto una figlia grande e avrei girato il mondo senza più occuparmi di pannolini e notti insonni”.
Chi è, in fin dei conti, la mamma ribelle del titolo?
“Quella normale, che si ribella allo stereotipo della donna amorevole e infaticabile nei confronti dei figli piccoli. Che decide di fare quel passo in più che le consente di tagliare le catene di quella figura materna ancestrale che ancora incombe nella nostra cultura”.
Quanto le è servita l’ironia, in questa operazione?
“Io vivo e parlo come scrivo. Ogni cosa la affronto così, provando a metterla sul ridere e sul leggero. Anche i momenti più difficili ho cercato e cerco di prenderli così. Era normale che anche la mia scrittura ne risentisse”.
Tra le tante risate che scatena la lettura, ci sono riflessioni anche molto serie: come quella sulle coppie, che dopo un figlio rischiano di darsi per scontate. Com’è andata, nel suo caso?
“Io sono fortunata, ho un compagno che è sempre stato presente sia fisicamente che emotivamente. E quello scossone che hanno molte coppie dopo l’arrivo di un figlio, devo dire che noi non l’abbiamo subito. Certo, il nostro rapporto è cambiato. Ma credo sia migliorato. A un tratto mi sono accorta che lo stavo trascurando, ho provato a mettermi nei suoi panni, provando a capire cosa provano molti padri quando, dopo i figli, si sentono messi da parte da mogli e compagne. D’altro canto c’è forse un’incapacità, da parte degli uomini, di mettersi nell’ottica femminile e materna e capire. Credo di essermi accorta, prima che diventasse qualcosa di irreversibile, che dovevo tornare a dedicarmi anche a Moreno. Tante volte si tralasciano i piccoli gesti dell’intimità, che non sono per forza il sesso ma le carezze, gli abbracci”.
Come per Matteo Bussola, anche nel suo caso questa avventura è partita dai social. Si aspettava questo riscontro?
“Per nulla al mondo. Ho iniziato a scrivere i miei pensieri sul mio profilo Facebook, in modalità privata, con 300 amici. Poi qualcuno ha iniziato a condividere e ho reso la mia bacheca pubblica, arrivando in un anno a 20mila contatti. Non sono una blogger, non sono nessuno. Mi sono solo lanciata. Più avanti ho conosciuto Matteo Bussola e siamo diventati amici, accorgendoci che spesso affrontiamo gli stessi temi da angolature diverse. Non a caso il nostro pubblico è lo stesso”.

In questo articolo ci sono 0 commenti

Commenta

g