L’esperta: “La famiglia De Perfectis non esiste, siamo tutti De Normalis. A prova di stress”

Camilla Targher
Camilla Targher

Nel parlato si usa spesso la definizione “mulino bianco” per riferirsi al modello irraggiungibile della famiglia dove tutto è rose e fiori. Lei, Camilla Targher, formatrice aziendale e mediatrice familiare, nel suo libro “Famiglia no stress. Come gestire i rapporti e l’organizzazione familiare” (Giraldi editore), preferisce parlare di famiglia De Perfectis, come fosse un cognome. Un modello che esiste solo nei sogni e nelle illusioni, lasciando spazio il più delle volte, se non sempre, alla famiglia De Normalis. Quella dove i figli da piccoli non dormono la notte e da adolescenti ci fanno penare, dove il mutuo da pagare è salato e il lavoro non c’è, dove i litigi di coppia sono all’ordine del giorno e i panni da stirare pure.
Camilla, abbandonare la visione idilliaca della famiglia a favore di un sano realismo è già un primo passo per accettare e decidere di affrontare lo stress?
“Lo è, certo. Quando iniziamo una vita di coppia e familiare, siamo in genere tutti mossi dalla convinzione che si andrà sempre d’accordo, che tutto funzionerà alla perfezione. Non tutte le famiglie sono caotiche, ci mancherebbe. Ma il più delle volte la quotidianità, con tutti i suoi carichi, mette a dura prova. E lo stress incombe. Non bisogna per questo accontentarsi ma rendersi conto che è normale e fa parte della vita. La vera famiglia ideale, oggi, è quella che è pronta ad affrontare i cambiamenti e le difficoltà”.
Oggi, forse, le famiglie sono più stressate di un tempo: perché?
“Una volta c’erano più problemi, sarebbe inutile e riduttivo negarlo. Ma paradossalmente oggi che le persone hanno più opportunità, vanno incontro a nuovi ostacoli. Pensiamo solo al fatto che ognuno di noi è libero di scegliere il partner che vuole: benissimo, grande libertà. Ma l’altra faccia della medaglia può essere la necessità di trasferirsi in un’altra città, trovare un nuovo lavoro. Idem per le interferenze di genitori e suoceri: molte famiglie tendono a rivendicare la propria autonomia salvo accorgersi, magari quando hanno dei figli, che ogni tanto l’aiuto di un nonno non sarebbe poi così male”.
MasterCopNoBandLa coppia, in questa frenesia ai limiti dell’impossibile, che parte gioca?
“La coppia, se lo stress si protrae troppo a lungo, si sfalda. La passione scema presto, è già tanto se ci si saluta e ci si dice buonanotte: di certi riti scontati quasi ci si dimentica, presi come si è da mille incombenze. Ecco perché, anche se potrei scandalizzare i più romantici, sono convinta dell’utilità di adottare e mettere in pratica strumenti manageriali all’interno della famiglia, al pari di quello che si fa in azienda. Una convinzione che ho maturato in dodici anni di esperienza nell’ambito della formazione aziendale, dove vedo costantemente dinamiche di tipo familiare in atto. Oggi gestire una famiglia è un’operazione molto complessa: significa organizzare i tempi, scegliere gli stili educativi, pianificare le attività, saper comunicare, dividersi i ruoli, ritagliarsi gli spazi, decidere i budget”.
Usando strumenti di questo tipo, come molti degli esercizi descritti nel libro indicano, alla fine serve a recuperare quel romanticismo perduto?
“Assolutamente sì. Se i meccanismi tornano a oliarsi, di sicuro la coppia ha maggiori chance di tornare a vedere sentimenti e passioni che si erano come ovattati. O, almeno, lui e lei possono dire di averci provato fino in fondo. Oggi separazioni e divorzi sono in crescita: molte delle coppie che vedo, raccontano di comunicare male e di non avere tempo. Aspetti sui quali si può lavorare eccome”.
Non tutto è perduto, dunque, anche quando sembra perduto?
“Quando si è focalizzati sulla modalità stress-problemi-difficoltà, il rischio è di non essere mai dell’umore giusto per godersi il buono, per vedere il bello che ancora c’è o che c’è stato e che potrebbe tornare. A volte basta fermarsi e cambiare registro per accorgersi che non è tutto una tragedia”.
In questo senso, la condivisione delle proprie pena con altre famiglie è utile?
“Condividere è utilissimo: consente di accorgersi che alcune cose che si reputano personali, in realtà appartengono a tutti. Anche l’amica, magari, non riesce a trovare un momento di intimità con il marito che non sia parlare delle bollette. L’importante è non chiudersi la porta dietro quando si entra in casa, è non considerare la coppia come ultima oasi di salvezza a tutti i problemi del quotidiano. Il rischio è riporre troppe aspettative sul partner, rimanendo poi delusi”.
Il concetto di empatia, di cui poco si parla, è invece centrale nell’approccio allo stress che il libro propone: che cosa significa?
“L’empatia, cioè la capacità di mettersi nei panni dell’altro, non è una rinuncia alle proprie idee. Significa invece essere aperti al punto di vista dell’altro, sostenere le proprie convinzioni mettendole a confronto con quelle dell’altro, facendolo sentire capito. L’esempio classico è il bimbo che vuole il gelato prima di cena: invece di comprarglielo o, all’estremo opposto, di sgridarlo, bisognerebbe spiegargli che capiamo la sua irrefrenabile voglia di quel cono che il bimbo affianco sta mangiando ma la cena è quasi pronta ed è meglio, per il suo bene, di no”.
Non capirsi, tra partner, scatena inoltre crisi che a un certo punto paiono irreparabili: il tradimento, sebbene continui a essere una delle cause delle separazioni, è spesso una conseguenza della crisi. In che modo?
“Il partner che tradisce, in genere, si sente poco capito, valorizzato, cercato dall’altro. In assenza della intimità e complicità di un tempo, cerca le cose che non trova più fuori, non necessariamente per bisogni o problemi sessuali. C’è un’insoddisfazione molto più ampia e radicata dietro il tradimento. Ecco perché sarebbe bene non arrivarci, prevenendo e lavorando sulla crisi stessa, a partire dalle piccole cose, come salutarsi con un bacio la mattina”.
In fin dei conti, i figli uniscono o allontanano?
“Nessuna delle due cose. Direi che i figli trasformano: la coppia, la famiglia. Da un lato ci fanno provare emozioni impensabili, amandoci incondizionatamente e insegnandoci a essere amati. Dall’altro hanno bisogno di noi e quindi complicano di non poco il ménage. Metterli al mondo per risolvere una crisi, in questo senso, non è mai una scelta azzeccata: magari per qualche tempo, grazie al fatto che l’attenzione si sposta sui bambini, possono anche metterla a tacere. Ma una volta che sono cresciuti, la crisi torna”.

Camilla Targher è anche autrice di “Comunicare la separazione ai figli” (Giraldi editore) insieme a Michela Foti.

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