Frutta a ricreazione: il Ministero dice no a molte scuole elementari romagnole

La campanella dell’intervallo suona e i bambini, anziché uno snack confezionato, mangiano una porzione di mele a fettine o bevono una spremuta d’arancia. Alle elementari, grazie al progetto del Ministero delle politiche agricole “Frutta nelle scuole”, si può. Peccato che molti plessi della Romagna, quest’anno che è partita la quarta edizione, siano rimasti esclusi. Il plafond è troppo basso per accontentare tutti. E molti insegnanti che avevano aderito all’iniziativa negli anni passati, così motivati sul tema dell’educazione alimentare, si sono sentiti dire no. Andrea Ancarani è responsabile tecnico di “Frutta nelle scuole” per Alegra, l’azienda faentina capofila del raggruppamento temporaneo d’imprese che distribuisce la frutta nelle scuole in Emilia-Romagna (e non solo): “Davanti ad una richiesta che superava le possibilità, il Ministero ha scelto di non accettare chi aveva partecipato per più di due anni. E le scuole romagnole, soprattutto nella zona di Forlì, Cesena e Ravenna, ci sono cadute dentro”. Ad Alegra è stato dato un 2% di margine di tolleranza, per cui alcuni plessi, nonostante i rigidi criteri di ammissione ed esclusione, alla fine sono stati ammessi. Ma resta il rammarico per la qualità di un progetto al quale non tutti gli alunni delle elementari possono accedere. Sono 17.642 (per un totale di 91 scuole) quelli che in Romagna, durante l’anno scolastico in corso, stanno usufruendo della possibilità di mangiare frutta fresca a ricreazione. Rimini è in pole position con 7.206 scolari, seguono Ravenna con 6.889 e Forlì con 3.457 bambini.

Ma i ragazzi la consumano davvero la frutta a disposizione? “Sì – spiega Ancarani – anche se dipende da quanto gli insegnanti credono nel progetto e invitano i ragazzi al consumo della frutta che portiamo”. Susine e nettarine vanno per la maggiore. Anche le mele piacciono. Le pere, invece, causano non pochi problemi: “E’ un frutto particolare, se è troppo maturo si macchia in fretta, se non lo è risulta duro. Abbiamo ricevuto un po’ di lamentele ai nostri call center”. Grande successo, invece, per il caco-mela, tanto da far pensare che i consumi del frutto in questione aumenteranno a prescindere dal progetto nelle scuole. Apprezzatissime le spremute d’arancia, che però creano non pochi ostacoli: “Se in una scuola dobbiamo portare arance per preparare spremute per tutti, significa che arriviamo con quintali di frutta. E questo ha un impatto fortissimo sulle cucine delle scuole, soprattutto dove il personale è restio a collaborare”.

Un altro problema è la mole totale di frutta, che spesso risulta eccessiva: “Le quantità individuali da portare sono decise dal Ministero ma succede che la porzione media risulti un 20-25% in più, come peso, rispetto a quello che dovrebbe essere. Non è facile, quando si parla di frutta, restare dentro rigidi canoni”. Per fortuna, di rado il prodotto in eccesso viene buttato: “Le scuole non possono rivendere la frutta. Ma ci propongono di donarla a qualcuno, magari ad una casa di riposo. Così non c’è scarto”.

Giorgia Faedi, Apofruit Italia

Giorgia Faedi è responsabile relazioni scuole per Apofruit Italia, che in regione (dove continua a fornire alcuni prodotti) è stata capofila del Rti nei primi tre anni di “Frutta nelle scuole” e oggi lo è nelle Marche, nel Lazio e in Sardegna. Dall’alto della sua esperienza sa bene che la chiave del successo del progetto fa capo al corpo insegnante: “Capita che certi docenti credano poco nell’iniziativa e consentano ai bambini di portare la frutta a casa o la facciano consumare in aggiunta alla merenda che hanno nello zaino. Così il progetto perde la sua finalità, che è quella di sostituire il panino o le patatine con la frutta”. Impossibile, quindi, parlare di un successo omogeneo. Anche se i responsabili ce la mettono tutta: “Quest’anno raggiungeremo le 42 distribuzioni, nove in più rispetto allo scorso anno. Non solo: siamo riusciti a partire il 15 ottobre. Il primo anno partimmo a febbraio, poi siamo sempre migliorati”.

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