Suicidio materno: “In Italia il problema è sottostimato”

Quali donne sono a rischio suicidio nell’epoca perinatale? Perché nel 2016 il suicidio è risultato la seconda causa di morte materna tra 43 e 365 giorni dalla fine della gravidanza in sette regioni italiane? Si tratta di morti, in qualche modo, evitabili? Se ne è parlato a metà settembre, a Bologna, durante un importante convegno sul disagio psichico in gravidanza e nel post-parto al quale avevamo dedicato un approfondimento, parlando in particolare di depressione nelle future o neo-mamme. 

Ilaria Lega dell’Istituto superiore di sanità si è soffermata, in particolare dello studio effettuato anche in Emilia-Romagna per tracciare un profilo clinico delle donne a rischio di suicidio in epoca perinatale. Una ricerca dalla quale sono emersi 67 casi di suicidio in gravidanza o entro un anno dal suo termine, che rappresentano il 9% dei 768 decessi materni individuati nel 2006-2012. Nello stesso periodo l’emorragia ostetrica – causa principale di morte materna per cause ostetriche in Italia – ha determinato 58 decessi (ne avevamo parlato con Serena Donati dell’Iss).

La maggioranza delle donne ha utilizzato un metodo violento, più spesso impiccagione (37%) o salto da luogo elevato (21%). Erano donne con un disturbo mentale? Non sempre o, almeno, non che i servizi sapessero: solo il 60% del campione, infatti, è risultato avere un disturbo, una precedente prescrizione psicofarmacologica o un precedente contatto con uno specialista della salute mentale.

“Nonostante i frequenti contatti con servizi e professionisti sanitari durante la gravidanza e nel periodo perinatale – ha detto Lega – spesso disturbi mentali anche gravi non vengono registrati e riconosciuti. I professionisti della salute mentale e del percorso nascita devono essere consapevoli del problema. L’ideazione suicidaria entro un anno dalla gravidanza deve essere presa molto seriamente, particolarmente durante il puerperio”.

E dalla sottostima della gravità del problema alle raccomandazioni, il passo è breve: “La valutazione dello stato di salute mentale, ripetuta nel tempo, deve essere parte integrante della presa in carico della donna durante la gravidanza, dopo il parto e dopo l’interruzione volontaria di gravidanza”. 

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