«L’attitudine al gioco è presente in tutti i bambini e ragazzi, anche nelle situazioni più estreme, come la malattia oncoematologica. Ecco perché da molti anni portiamo l’animazione ludica, creativa ed espressiva nei reparti pediatrici di Bari».
Andrea Mori, fondatore della cooperativa Progetto Città, dal 1980 si occupa di promozione del diritto al gioco. Domani 15 febbraio alle 17 parteciperà a uno degli incontri di «Giocare nell’emergenza», la formazione che rientra nelle iniziative della Festa del diritto al gioco di Ravenna (per iscriversi, compilare il form a questo link).
«A Bari siamo presenti nel cosiddetto ospedaletto dei bambini, il Giovanni XXIII, nel reparto di pediatria del San Paolo e nell’Oncoematologia pediatrica del Policlinico. Da una vita, ormai, utilizziamo il gioco come elemento co-terapeutico, senza la pretesa di fare miracoli ma con la consapevolezza che se nella malattia la testa aiuta, anche il corpo lo fa. In generale, abbiamo visto in tanti anni di lavoro che il gioco rasserena bambini, ragazzi e adulti e che non si smette di giocare nemmeno quando si sta molto male. Giocare consente di tenere il contatto con la quotidianità, di essere seguiti non solo come pazienti ma come persone a tutto tondo».
Dal 2007, il progetto è un vero servizio sostenuto dall’assessorato al Welfare del Comune di Bari: «Chiaro che ci piacerebbe un mondo dove l’animazione ludica fosse presente in tutte le pediatrie. Ma non si tratta ancora di progetti generalizzati e stabili, quanto di iniziative e azioni che devono sempre conquistarsi un posto. A volte si fa un passo avanti, a volte se ne fa uno indietro. Certo è che la “normalizzazione” è uno degli aspetti più difficili».
Tra le tante attività proposte, quella dell’uso degli strumenti di cura, dai cerotti alle garze, passando per i lacci emostatici, in senso creativo: «Re-interpretandoli insieme ai piccoli pazienti, creiamo una sorta di esorcismo e abbattiamo molte paure. Chiaro, non possiamo fare un unico ragionamento comune. Lavorare col gioco in un pronto soccorso o con i bambini malati di tumore è molto diverso. Nel secondo caso, c’è un impatto psicologico ed emotivo, anche per gli stessi operatori, molto importante. Perché non sai se quei bambini, la volta dopo, li potrai rivedere».
Nel tempo, Mori e i “suoi” hanno capito che i benefici arrivano anche ai genitori, specie le mamme che sono le più colpite dal cambiamento di vita: «Alcune interviste che abbiamo raccolto ci hanno raccontato come le donne, specie in caso di malattie con lungo-degenze, siano le più coinvolte. Per loro il gioco ha lo scopo di sostenere uno sforzo psicologico che, essendo adulte, è molto più consapevole e faticoso rispetto a quello che devono compiere i bambini».
Gli interventi ludico-artistici ed espressivi realizzati a Bari rientrano in un sistema nel quale sono coinvolte altre associazioni e altre azioni, come la clownterapia: «Non ci si pesta i piedi, almeno ci si prova. Anche perché in luoghi come gli ospedali si entra sempre in punta di piedi, anche perché il rischio è quello di essere considerati dei clandestini».
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