Monica Pezzi lo sapeva, che suo figlio scriveva. Ma è stato quando la migliore amica di lui, Elisabetta, le ha suggerito di cercare dentro il cellulare, che ha scoperto un tesoro ancora più grande di versi e componimenti che andavano ad aggiungersi alle molteplici poesie già ritrovate su carta. Monica, 55 anni, interprete e traduttrice, è madre di tre ragazzi e vive ad Alfonsine.
A un anno e mezzo dall’incidente che le ha portato via Giacomo, quelle parole sono un’ancora di salvezza, un modo per sentirlo ancora vicino ma anche la fonte di ispirazione di tanti nuovi progetti.
Il 5 giugno dello scorso anno il suo secondogenito, che aveva compiuto 20 anni da appena due giorni, si è addormentato mentre guidava verso casa, dopo essere uscito dal liceo classico di Ravenna, dove frequentava l’ultimo anno. Sono seguiti tre giorni di speranza e attesa, 72 ore durante le quali all’interno del reparto di Rianimazione dell’ospedale Bufalini di Cesena, Monica fra disperazione e angoscia ha visto da subito uno spiraglio di luce grazie alla dolcissima e silenziosa presenza delle decine di amici e amiche di Giacomo che si alternavano accanto a lui, parlandogli, piangendo e ridendo, mentre ricordavano i bei momenti trascorsi assieme in totale spensieratezza. Quei ragazzi hanno creato un muro umano pieno di affetto e resilienza attorno alla famiglia di Monica, che a sua volta si è resa conto che non poteva e non doveva chiudersi nel dolore, ma che la strada giusta sarebbe stata quella della condivisione, dell’apertura alla vita, nonostante tutto. Così è nata la decisione di coinvolgerli tutti nell’organizzazione dell’ultimo saluto a Giacomo. Una cerimonia un po’ fuori dalle righe all’interno della chiesa, ma gestita dai ragazzi e dalla famiglia, con la partecipazione degli insegnanti e compagni di classe di Giacomo e di tutti coloro che lo conoscevano. Sono state due ore di musica e canzoni, parole e poesie, un’onda emotiva che coinvolto tutti i presenti, conclusasi con la benedizione del parroco di Alfonsine.
Monica oggi racconta: «Da quel giorno ho iniziato a pensare con determinazione di raccogliere le poesie che Giacomo aveva scritto in un libro, anche perché sapevo che era un suo sogno farlo. Le sue parole erano un po’ dappertutto: di quaderni e foglietti ne ho trovati ovunque, soprattutto nei cassetti della sua stanza da letto. Sono certa che me le abbia lasciati per impedirmi di lasciarmi andare e di non vivere più. Credo che sapesse che le avrei messe insieme per pubblicare un libro».
Ed è ciò che è successo. «Mi chiamo Giacomo, ho 20 anni e non so cosa inventarmi”, poesie e vita di un ragazzo qualunque, è oggi un viaggio dentro il figlio di Monica, le emozioni dei giovani, le domande sulla vita e le risposte che a volte non si trovano. Un libro che per Monica è il punto di partenza ogni mattina al risveglio e che ha dato vita al progetto «Le emozioni di Giacomo», un percorso di educazione alle emozioni e ai sentimenti nato grazie anche alla collaborazione di due care amiche, Mariacristina Errani (life coach) e Monica Vecchi (marketing manager), che lo porteranno nelle scuole insieme a lei.
«Purtroppo in questo periodo tanto delicato e difficile – spiega Monica – non ci è stato possibile proporre in co-presenza il nostro progetto, ma già ad Alfonsine alcune classi terze della scuola secondaria di primo grado e alcune classi delle superiori di Lugo e Ravenna, grazie alla sensibilità degli insegnanti, stanno lavorando in autonomia sui testi di Giacomo, per riflettere sul mondo interiore dei ragazzi. Una soddisfazione importante, che mi fa ritrovare, spesso, il senso di tutto quello che è successo».
In questi giorni poi, Monica ha ricevuto una bellissima notizia dall’Associazione Primola, sezione di Alfonsine, che gestisce il concorso letterario «Io Racconto» creato nel 2007 dall’autore Massimo Padua e che è indirizzato alle scuole, in particolare ai bambini di quarta e quinta elementare e ai ragazzi delle medie residenti nei comuni dell’Unione della Bassa Romagna: «Il premio relativo alla sezione Poesia sarà intitolato, a partire da questa edizione 2020/2021, proprio a Giacomo e avrò l’onore di consegnare personalmente il premio ai ragazzi. Un onore immenso, che mi ha reso infinitamente orgogliosa di Giacomo e per Giacomo».
Nel frattempo Monica si sta anche battendo affinché venga cambiata la legge 91/99 che ha introdotto l’obbligatorietà dell’anonimato nella donazione di organi: «Giacomo era donatore volontario e aveva fatto la scelta della donazione a 19 anni, in occasione del rinnovo del suo documento di identità. Grazie a mio figlio, ora quattro persone possono vivere una vita migliore e mi rende felice pensare che nulla sia stato vano».
Monica e Giacomo avevano un rapporto bellissimo, quasi simbiotico: «Mio figlio era intelligente, brillante, ironico, ma quello che lo contraddistingueva era la sua enorme sensibilità, che lo ha portato ad esprimersi attraverso una forma d’arte quale è la poesia. Non è facile trovare nei ragazzi d’oggi questa capacità di guardarsi dentro, di fare uscire allo scoperto le proprie emozioni, non è stato facile per me entrare nel suo mondo senza di lui, ma gli sono grata per avermi lasciato questo meraviglioso dono, che mi ha dato la forza per continuare a vedere quella bellezza collaterale che c’è, esiste e che non ci deve mai abbandonare, nemmeno in situazioni di dolore estremo, come quella della perdita di un figlio».
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