“Se sei diverso da me, fratello, lungi dall’offendermi, tu mi arricchisci”. C’è anche questa frase di Saint-Exupéry tra le citazioni che Bernadetta Cecilia Ranieri, riminese d’adozione, mamma di Lorenzo che ha nove anni e la sindrome di Down e di Letizia che ne ha undici, ha riportato nel suo ultimo libro “Fattore F: fratelli per sempre. Quando ad avere una disabilità è il fratello”. Un libro che segue il precedente “Pronto a volare”, una testimonianza toccante di cosa significhi scoprire, quando è già nato, che un figlio ha la trisomia 21 e, superato lo choc, rimboccarsi le maniche per affrontarla. 

Questa volta Bernadetta, che ha scelto un tema non troppo trattato – il rapporto tra fratelli “normodotati” e fratelli con disabilità – non ha solo raccontato di sé ma ha allargato lo sguardo ad altre famiglie, raccogliendone le testimonianze. Come quella di Alessandro, che fin da piccolo è stato il terapista di Federico, che ha la sindrome di Rubinstein-Taybi. O quella di Pamela, che a sette anni si ritrova un fratellino con una emimegalencefalia che, nei fatti, le “scippa” la famiglia, dovendo il padre lavorare e la madre restare in ospedale con Manuel.

Legami che si possono complicare in adolescenza, età di per sé molto critica, e che assumono una nuova veste nell’età adulta: “Questa volta sono voluta uscire dall’autobiografia per scrivere un saggio che desse anche a me risposte sulle grandi domande che avevo rispetto al rapporto tra i miei figli e rispetto a quello tra altre coppie di siblings. Io devo ritenermi fortunata: non so se è merito delle predisposizioni naturali di Letizia o del fatto che fin da subito l’abbiamo coinvolta nella vita del fratello, visite e terapie comprese, fatto sta che per lei è normale parlare apertamente del problema di Lorenzo, verso il quale è affettuosa e protettiva”.

Se pensa a come sarà la relazione tra i suoi figli fra qualche decennio, Bernadetta non ha molti dubbi: “Credo che per Letizia sarà naturale prendersi cura di Lorenzo quando noi genitori saremo anziani o non ci saremo più. Ma capisco benissimo anche quelle famiglie che non se la sentono di responsabilizzare troppo i figli normodotati, preferendo affidarsi ai percorsi di autonomia gestiti dalle associazioni”. Chiaramente la speranza di Bernadetta è che anche i servizi inizino a occuparsi del tema “fratelli”, al momento messo all’angolo: “Sarebbe utile e interessante che ci fossero percorsi dedicati. Io, nel mio piccolo, ho fatto un passo affinché del tema si parli sempre di più. Spero che anche nel mondo dei professionisti possa esserci un’attenzione sempre maggiore”.

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