La Sindrome di Down di Lorenzo raccontata dalla mamma: “Sono cresciuta con mio figlio”

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Lorenzo sulla copertina del libro scritta da mamma Bernadetta

Nessun valore sospetto nel B-test, niente da segnalare durante la morfologica. Per Bernadetta Ranieri, originaria della provincia di Chieti ma residente da undici anni a Montescudo, nel riminese, la diagnosi di Sindrome di Down è arrivata quando Lorenzo era già tra le sue braccia. Un momento che descrive come un “macigno” e uno “shock” in “Pronto a volare”, il libro-testimonianza che racconta il suo percorso di mamma dal “perché proprio a me?” alla consapevolezza dei grandi progressi di suo figlio, che oggi ha cinque anni e mezzo. Un libro in cui si stagliano a tinte nette anche il marito Loris, che ha scritto alcune parti parlando del suo punto di vista sulla trisomia 21, e la figlia maggiore Letizia, sette anni e mezzo.
Bernadetta, il ricordo della diagnosi è ancora nitido o il tempo ha contribuito a dissiparlo?
“Il ricordo è lucido e preciso. Il messaggio fu tremendo ma quando ci penso, mi rendo conto del grandissimo tatto e dell’enorme sensibilità che il primario usò per comunicarmi il problema di Lorenzo. Me lo disse con il giusto tono di voce, mi lasciò tra le mani quel fardello con i guanti”.
Ti sei mai chiesta che cosa sarebbe successo se avessi saputo della trisomia 21 di Lorenzo in gravidanza?
“A posteriori dico che è stato meglio saperlo dopo, a parto già avvenuto. Non avrei interrotto la gravidanza se me lo avessero comunicato prima. E penso che trascorrere mesi e mesi con un bimbo nella pancia che non sai che sviluppo avrà sia pesantissimo: avrei avuto il pensiero fisso di lui, mi sarei trucidata poco a poco”.
Davanti a Lorenzo e al vostro dover riorganizzare la vita intorno a lui, il mondo intorno si è dissolto nel giro di poco. Quale reazione c’è stata?
“Due amiche che erano all’inizio della gravidanza sono sparite. Altri conoscenti non sapevano bene come porsi: c’era chi aveva paura di chiedere informazioni, chi evitava di domandarmi come stavo, chi minimizzava il problema, chi ci girava intorno. Mi sono anche sentita dire: ‘Sei sicura che si tratti di Sindrome di Down? Non si vede nulla’. All’inizio mi bloccavo, poi poco a poco ho cominciato a rispondere, riuscendo talvolta a mettere in imbarazzo chi si rivolgeva a me in quei modi”.
Nel libro hai inserito una toccante lista di consigli su come si guarda un bambino Down. Perché hai sentito l’urgenza di farlo?
“Perché ho visto centinaia di occhi indagatori su Lorenzo e su di me, come se fosse impossibile che quello fosse mio figlio. Dall’altro lato ho registrato il dilagare di luoghi comuni sul bambino Down come dolce e carino ma sostanzialmente incapace di progredire. Invece no: come dimostra il percorso di Lorenzo, con tempi più prolungati anche i bambini con la Sindrome di Down sono in grado di raggiungere competenze e abilità inimmaginabili. All’inizio nemmeno io ci credevo, l’ho scoperto con il tempo”.
Se guardi alla Bernadetta di cinque anni e mezzo fa, che mamma vedi?
“Una mamma distrutta dal dolore di una notizia agghiacciante. Ora sono un’altra donna, un’altra mamma. Sono cresciuta con Lorenzo, imparando a soffermarmi sui dettagli, ad apprezzare i particolari. Anche il semplice fatto di riuscire a soffiare una candelina, per un bimbo come mio figlio, è un traguardo. Capirlo ha fatto e fa ancora oggi la differenza. Questo non significa che non ci siano momenti di scoraggiamento: ancora oggi ci sono giornate in cui penso di non farcela. Lorenzo ti mette alla prova quotidianamente. Ma ora non vedo più tutto in salita come allora”.
Qual è stato il sostegno più grande di tuo marito in questi anni?
“La presenza, anche se silenziosa. Loris è un uomo di poche parole. Ma ha sempre le antenne dritte: nei giorni in cui, già dal mattino, mi vedeva sconfortata, prendeva un giorno dal lavoro e restava con me. Magari usciva un’ora con Lorenzo, o andava semplicemente a fare la spesa. Ma mi ha sempre fatto capire che potevo contare su di lui, che la nostra era una battaglia da portare avanti e vincere insieme”.
Ci sono state altre figure importanti, intorno a voi?
“Noi siamo abruzzesi, io sono impiegata precaria e mio marito è capitano nell’esercito. Siamo una famiglia normale, che si è trovata a dover affrontare un problema gigantesco, oltretutto con una bimba piccola da crescere e lontani dai nonni. All’inizio Internet era il nostro punto di riferimento dove reperire informazioni e capire il da farsi. Poi ci siamo resi conto di quanto fossero importanti la neuropsichiatra di Lorenzo, la sua educatrice al nido, le sue maestre alla materna. Persone che, nel seguire lui, facevano sentire rincuorati anche noi genitori. Ed è stato fondamentale anche decidere di uscire allo scoperto, di rompere l’isolamento, di abbattere i muri: viviamo in un paese piccolo, dove tutti si conoscono. Quando ho cominciato a notare che la gente raccoglieva i miei sorrisi, il mondo mi si è aperto davanti”.

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