Aveva un sogno nel cassetto, Francesca Siboni. Un sogno che non ha smesso di coltivare e di cui tornerà a parlare sabato 13 ottobre (ore 9) durante il convegno “Affido e adozioni. Sogni, desideri e realtà” che è in programma anche il giorno prima alla sala del Carmine di Lugo di Romagna. La psicoterapeuta analitica – che per Franco Angeli ha anche pubblicato, insieme a Ugo Uguzzoni, il libro “La triade adottiva. Processi di filiazione e affiliazione” – in molti anni di lavoro ha infatti registrato un bisogno importante, da parte delle famiglie adottive, di essere supportate durante l’adolescenza dei figli. Un’adolescenza che se, per definizione, fa rima con ricerca di sé e della propria identità, in casi di adozione si amplifica a dismisura: “Il mio desiderio è che possano attivarsi dei servizi, pubblici o privati, che non solo seguano le famiglie a molti anni dall’adozione ma che siano specializzati in adolescenza, nello specifico nell’adolescenza degli adottati”.
Per Siboni, infatti, anche se un ragazzo è inserito in un contesto familiare favorevole, fatto di relazioni positive e di una storia adottiva felice, quando arriva a 13-14 anni, ma anche prima, deve far fronte a una moltiplicazione di esperienze e vissute non facili da far convivere: “Le risonanze interiori di quelle esperienze, a partire dall’abbandono e dalla perdita, possono essere confuse, contraddittorie, angoscianti. E i genitori adottivi si trovano spiazzati, spesso in colpa per non riuscire a migliorare il benessere dei figli. Il punto è che non è quasi mai un pezzo della storia adottiva a essere responsabile del periodo negativo attraversato dai ragazzi adottati. Lo può essere, piuttosto, quel pezzo di argine che manca – come in un fiume – per ricostruire le proprie origini e la propria provenienza”.
Una paziente, una volta, disse a Siboni che si sentiva come messa su un treno al quale avevano cambiato il binario: “Nelle persone adottive c’è spesso l’angoscia legata al non sapere come sarebbe andata la loro vita, la loro storia. Il segreto rispetto alla famiglia biologica che fino a qualche decennio fa vigeva anche in Italia era, in questo senso, di una violenza inaudita. Se si conosce la propria storia ci si può lavorare sopra. Oggi, poi, con i social e le tecnologie è più facile che un ragazzo si metta alla ricerca delle proprie origini. Tutto questo è sano, fondamentale. Così come è fondamentale che i genitori adottivi sostengano il figlio in questo percorso, senza sentirsi rifiutati. In tutto questo vanno sostenuti”.
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