“Violazione della privacy, violazione della privacy, violazione della privacy”. M., mamma di Rimini, non ha altre parole per definire la vicenda che negli ultimi anni ha riguardato suo figlio, un bambino iperattivo e disgrafico che sta terminando in questi giorni la quinta elementare.
Il caso inizia all’inizio della quarta, dopo un primo triennio molto positivo: “In seconda mi ero accorta che il mio bambino aveva difficoltà a stare attento e concentrato. Ma non ho mai finto di non vedere, ho fatto anzi in modo che venisse sottoposto ai test fino alla certificazione di Adhd. Per una serie di coincidenze, tra cui anche il fatto che ho cambiato lavoro e mi sono spostata di parecchi chilometri, gli ho fatto cambiare scuola in terza. Ma le cose andavano bene”.
Ma dopo l’estate, tutto inizia gradualmente a cambiare: “L’insegnante di cui mi fidavo, evidentemente in difficoltà nel gestire una classe molto complessa non solo per i problemi di mio figlio, ha iniziato a prenderlo di mira, colpevolizzandolo per qualsiasi cosa e umiliandolo davanti ai compagni. Ho capito a un tratto che pretendeva da me che chiedessi l’aggravamento per lui, cosa che gli avrebbe dato diritto a una copertura quasi totale delle ore di sostegno. Ma mio figlio, davvero, non necessitava di un aiuto in più. Era semmai la classe nel complesso a essere di difficile gestione. E invece, tutti i problemi, sono stati scaricati addosso a noi”.
Fatto che sta che la maestra comincia a riferire alla famiglia che il bambino è peggiorato, che non è più lo stesso, che mette in difficoltà gli altri: “Basita, ho cercato conferme di quello che mi diceva in palestra, a catechismo, al medico che lo segue all’Asl. Ma le conferme non mi venivano date. Io non nascondo i problemi di mio figlio, sono stata la prima a mettermi in moto per certificarlo. Ma considerarlo come il capro espiatorio di tutto mi sembrava davvero assurdo ed esagerato”.
Fatto sta che il bambino, in una situazione caotica come quella che si era profilato, con insegnanti di sostegno ed educatori che cambiano di continuo, comincia a scaricare: “Ha preso a non voler più andare a scuola, a piangere perché lo portassi via, a diventare aggressivo, con comportamenti che prima non aveva mai avuto nonostante l’iperattività. La maestra, evidentemente, ha aizzato i genitori, che si sono compattati contro di noi”.
Il nome del bambino, a un certo punto, è così stato citato in una raccolta firme promossa dalle famiglie per chiedere che la classe avesse bisogno di aiuto. Ma la goccia ha fatto traboccare il vaso, per M., quando nel registro di classe è comparsa, visibile a tutti i genitori, una relazione su suo figlio, con tanto di nome: “A quel punto l’umiliazione è stata massima e non ci ho più visto, anche perché in seguito alla scoperta della disgrafia, le mortificazioni erano diventate ancora più frequenti e intense. Non mi sono più fidata, mio figlio non era più in grado di frequentare la scuola, io e mio marito non dormivamo più la notte”.
M. ha anche pensato alla denuncia, a un certo punto, anche se poi ha preferito abbassare i toni anche per non creare ulteriori traumi al figlio: “Al rientro dalle vacanze estive, abbiamo trovato un’altra maestra, che sta facendo un ottimo lavoro e che ha riacceso in mio figlio la voglia di andare a scuola. La quinta è stata un’esperienza bellissima. Restano, però, ferite aperte e forse insanabili: non punto il dito contro la scuola, che alla fine ha preso un provvedimento rivoluzionario. Ma tante volte il sistema non è pronto. E quando gli insegnanti incitano le famiglie a mortificare un bambino, a isolarlo, credo che faccia danni irreparabili”.
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