“Scrivete tre domande che vorreste vi fossero fatte. E poi tre che non vorreste vi fossero fatte mai”. Lo ha chiesto nei mesi scorsi Amalia de Simone, giornalista, ai partecipanti del gruppo “Narrazioni differenti”, un percorso interno al Sant’Orsola di Bologna dedicato ai pazienti oncologici ma anche ai familiari, agli amici, ai sanitari. L’idea è venuta a Francesca Candioli, giornalista de “Il Corriere della Sera”, che durante un’intervista alla psiconcologa Lucia Polpatelli si era appuntata una frase detta da lei a proposito del lavoro negli hospice: “Le persone più sconfortate e arrabbiate sono, in genere, quelle che sentono di non avere lasciato tracce nella propria vita”.
Da qui la voglia di proporre a chi passa l’esperienza del tumore di lasciarla eccome, una traccia. Attraverso la parola, il disegno, la poesia, la fotografia, il video. Non a caso, nel laboratorio, sono state coinvolte diverse figure professionali: lo scrittore e insegnante Alessandro Mantovani, il fotografo Michele Lapini, il poeta Valerio Grutt, i giornalisti Paolo Aleotti e Amalia de Simone, il visual designer Alessandro Bonaccorsi, il regista Germano Maccioni.
Il progetto, sostenuto da Go for Life, all’inizio aveva creato qualche titubanza in Lucia Polpatelli: “Per quanto mi entusiasmasse, temevo che fosse complesso, per i pazienti, incontrare ogni volta una persona diversa, per quanto fossi sempre presente a supervisionare. Invece mi sono dovuta ricredere: gli incontri si sarebbero dovuti concludere a maggio ma siamo andati avanti fino all’altro giorno. Oggi i partecipanti si vedranno addirittura per un aperitivo, perché la condivisione e la magia che si sono creati sono davvero eccezionali. Spesso, quando sui social vengono raccontate le storie di cancro, si usano toni stucchevoli. Qui no: qui si condividono percorsi, qui emerge la fatica che la malattia porta con sé, qui ci si confronta sulle strategie alle quali, magari, uno non aveva pensato“.
E così, fingere di essere alla radio e provare a raccontarsi in un solo minuto, così come cimentarsi nel “disegno brutto” o scrivere una sceneggiatura, sono diventati antidoti al dolore e alla sofferenza: “Il messaggio è che tutti questi strumenti possono servire a buttar fuori emozioni e a prendere le distanze dal proprio vissuto. All’inizio, quando il conduttore di turno assegnava il ‘compito’, c’era chi sbarrava gli occhi. Ma l’entusiasmo ha prevalso su limiti, paure e stereotipi. E frasi come ‘non so disegnare’ o ‘io mica ero bravo in italiano’ sono poco a poco scemate”.
Durante l’iniziativa “Le stelle di Sant’Orsola” che si è tenuta a fine maggio, è stato proiettato un video di presentazione del progetto, sono state esposte alcune foto scattate dai pazienti ed è stata data la possibilità di ascoltare le pillole di un minuto in cui i pazienti si raccontano, un lavoro realizzato con Paolo Aleotti di Radio 3: “Proprio ieri una paziente, durante un colloquio individuale, mi ha chiesto: ‘Ma non sarà mica finita qua, vero?’. Mi sentirei di dire che dopo l’estate riprenderemo il percorso”.
E c’è anche un’altra chicca: da “Narrazioni differenti” dovrebbe nascere un film di Germano Maccioni.
In questo articolo ci sono 0 commenti
Commenta