Un ecodoppler portatile per l’Oncoematologia Pediatrica dell’ospedale Infermi di Rimini, dove Emiliaromagnamamma è entrata tempo fa per un toccante servizio sul campo. A volerlo donare è l’Istituto Oncologico Romagnolo insieme a Panorama Basket e a tutte le squadre di pallacanestro della Romagna. Lo strumento, che evitando di procurare dolore ai bambini avrebbe benefici anche sul piano psicologico e sulla relazione tra i piccoli pazienti e i medici, costa 5mila euro. Il 96% della cifra è già stata raccolta. Per contribuire, c’è ancora una settimana di tempo (e lo si può fare qui). Intanto la psicologa dell’Infermi Samanta Nucci racconta quali sono i risvolti di una donazione del genere.
A che cosa corrisponde, a livello psicologico, una minore invasività degli strumenti terapeutici e di cura?
“L’arrivo in ospedale è sempre un evento traumatico, in quanto il bambino viene da noi già sofferente a causa della malattia. Non dimentichiamo, poi, che non appena varca la porta del luogo di cura, il paziente si trova ad avere a che fare con delle persone estranee, che cercano di condurre esami il più approfonditi possibili per avere informazioni dettagliate su di lui e sulla patologia di cui soffre. Chiaramente, quindi, da una minore invasività degli strumenti terapeutici consegue una minore violazione del proprio spazio, del proprio corpo, e in generale un minore dolore procurato. Questo ci aiuta ad essere visti dal bambino non come i ‘cattivi’ che vogliono fargli del male, ma come persone che lo aiuteranno a stare meglio: ridurre il trauma dell’inizio delle terapie significa una miglior alleanza terapeutica, e quindi maggiore collaborazione nel percorso di cura”.
Qual è, in genere, l’impatto psicologico della malattia sui bambini a seconda anche delle età?
“La diagnosi di malattia rappresenta per tutti un evento traumatico, a prescindere dall’età: sta a noi dello staff cercare di diminuire il più possibile lo stress, lavorando in base all’età anche sulle figure di riferimento del bambino stesso. Se il paziente, per esempio, ha un mese, oltre a prendere tutti gli accorgimenti necessari andremo a lavorare in maniera specifica anche sulla madre e sul trauma che rappresenta per lei la patologia del figlio; se il ragazzo è invece più grande, cercheremo di concentrarci principalmente su di lui, per aiutarlo ad interiorizzare e ad assumere consapevolezza di quanto gli sta succedendo. Dobbiamo essere bravi a far vivere la malattia al paziente pediatrico in maniera da una parte non traumatica, ma dall’altra molto consapevole, di modo da fornirgli gli strumenti necessari a fronteggiare questa situazione”.
Oltre a strumenti come l’ecodoppler, per stabilire l’alleanza terapeutica medici-bambini quali sono le strategie più efficaci?
“I dispositivi tecnologici ci aiutano a rendere il meno invasivo e doloroso possibile il trattamento, tuttavia l’alleanza terapeutica non può prescindere dalla comunicazione e, soprattutto, dall’ascolto. Occorre fiducia e rispetto reciproco dei ruoli, sia da parte del paziente che da parte dei suoi genitori. Per aiutarci in questo non deve mancare un ambiente confortevole, ricco di aspetti ludici e formativi, che tendano a normalizzare il più possibile una situazione che è tutto fuorché normale. Il bambino ha bisogno di gioco per sfogarsi e di studio per formarsi: la malattia non deve privarlo di questi momenti fondamentali, nonostante tenda comunque ad isolarlo. Secondo la nostra esperienza, anche il percorso di pet therapy si è rivelato un’autentica potenza: il cucciolo ha una capacità di empatia immediata nei confronti del bambino di cui l’adulto non dispone”.
Dalla sua esperienza, è più frequente che le famiglie appesantiscano il carico psicologico del bambino o lo alleggeriscano?
“La diagnosi di malattia è uno shock sia per il bambino che per il genitore: dobbiamo quindi essere bravi a lavorare sulla consapevolezza e l’interiorizzazione della situazione di entrambi. E’ perfettamente normale che una madre o un padre, soprattutto nei primi momenti, si trovino sommersi da una serie di sentimenti negativi, quali paura, sensi di colpa, minaccia della propria capacità genitoriale, timore d’essere impreparati o inadeguati, fino ad arrivare all’incapacità di prendersi cura di sé. Siamo noi che dobbiamo proteggere loro e proteggere i loro bambini, affinché il ruolo fondamentale dei genitori ai loro occhi non venga mai meno. Se mamma o papà finiscono con l’appesantire il carico psicologico, significa che abbiamo fallito in questo”.
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