Suo figlio era affetto da atresia biliare. Una rara patologia congenita (colpisce un neonato su 10mila) che impedisce lo sviluppo del fegato. Il rischio era che la malattia degenerasse in cirrosi e che il piccolo, di appena un anno, non sopravvivesse così il padre qualche mese fa gli ha donato un quarto del proprio fegato e lo ha salvato. Il trapianto, eseguito nell’Azienda ospedaliera di Padova dal team guidato da Umberto Cillo, è andato a buon fine e il bimbo adesso sta molto meglio.
Durante l’intervento, lungo e complesso (è durato circa 10 ore), al padre è stato asportato il 25% del fegato, l’intero lobo sinistro in pratica. Il medico responsabile dell’intervento ha detto all’Ansa: “Siamo riusciti a mettere sul campo tecniche di divisione del fegato così accurate e così precise sulla quantità di organo necessario per il trapianto che si possono asportare frammenti molto piccoli. Questi poi vanno conservati con tutti i peduncoli ed è questa l’aspetto più complicato. Il nostro è un lavoro di equipe, non solo i chirurghi, ma anche chi si occupa del coordinamento regionale del trasporto di organi. E’ un’azione corale che impegna circa 100 persone“.
Oltre a questo caso specifico, al Centro di chirurgia epatobiliare e trapianti di fegato dell’azienda ospedaliera di Padova nel 2017 sono stati compiuti 109 trapianti da donatore cadavere. Come ricorda il Centro nazionale trapianti, negli ultimi anni un protocollo specifico riduce notevolmente i tempi di attesa per i pazienti pediatrici che hanno bisogno di un trapianto di fegato: secondo le nuove prescrizioni, il fegato di ogni donatore morto sotto i 50 anni di età viene suddiviso in due porzioni per consentire altrettanti trapianti: il primo a favore di un adulto, il secondo per un bambino.
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