“Non sono mostri, hanno condotto vite normali, non sono malati, non hanno avuto un raptus, anche perché il raptus non esiste”. Vanna Ugolini è la giornalista di Forlì che insieme alla psicologa Lucia Mangionami ha scritto il libro “Non è colpa mia. Voci di uomini che hanno ucciso le donne” che verrà presentato oggi alle 17,30 alla Biblioteca Trisi di Lugo. E nel quale, attraverso le parole e i pensieri di tre autori di femminicidio, emerge in modo spietato come la presa di consapevolezza e il pentimento rispetto ai reati commessi siano ben lontani dalla realtà.
Vanna, che cosa l’ha sorpresa di più, nell’indagine che ha realizzato?
“L’aver trovato un mondo alla rovescia. Vengo da oltre vent’anni di cronaca nera, credo di averne viste un po’ di tutti i colori. Ma questa è forse la situazione in cui sono stata più a disagio. Mi aspettavo, ingenuamente, di trovare tre uomini consumati dal dolore e dal rimorso. Invece no: ho trovato tre persone piene di vita, abili calcolatori sempre pronti a ragionare di amnistie, indulti e sconti di pena, tesi a scrollarsi di dosso la responsabilità di quello che hanno commesso”.
Con quali criteri li ha scelti?
“I criteri sono stati due: che le sentenze fossero passate in giudicato e che quindi non ci fossero dubbi sulla colpevolezza; e che farsi intervistare non desse loro diritto ad alcun beneficio. Gli uomini che ho scelto oggi sono tutti liberi, rimessi in società senza troppi danni alla loro reputazione. Del resto, incontrandoli, ho capito quanto siano abili a descriversi come strumenti di un destino avverso, a scaricare colpe e responsabilità su altre persone e altre situazioni”.
Che sensazione le ha lasciato, tutto questo?
“La sensazione che lo potrebbero rifare, che il carcere e in generale il tempo non siano serviti per una elaborazione, per una presa di consapevolezza, per una ricostruzione di sé. Uno di loro è rimasto in carcere più di vent’anni e mi ha detto che li ha trascorsi dormendo. Sono uomini che utilizzano giustificazioni iperboliche o che manipolano i fatti a loro favore, per esempio esagerando i dettagli del tradimento delle compagne nei loro confronti ma minimizzando il fatto che anche loro le tradivano. Perché, come ha sottolineato uno di loro, ‘gli uomini sono più animali'”.
E nei confronti delle donne, che cosa le è rimasto addosso?
“Una grandissima rabbia e l’idea che il delitto d’onore sia uscito dalla porta per rientrare dalla finestra sotto forma di attenuanti. C’è un substrato culturale e sociale che favorisce la mancata presa di coscienza emersa in maniera lampante dall’incontro con gli uomini. E se un giudice arriva a mettere sullo stesso piano il fatto che un uomo vada in giro armato e il fatto che una donna tradisca il suo compagno, significa che esiste una complicità sociale. Invece nulla di tutto questo è giustificabile”.
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