Il momento che Laura Marchesani ama di più del suo lavoro è quello in cui nascono i bambini. Laureata in lingue e trasferitasi a Lisbona grazie al programma Leonardo, è poi approdata in una clinica di Madrid, dove per sette anni si è occupata di accogliere e indirizzare le coppie che intraprendevano la procreazione medicalmente assistita.
Dopo essersi accorta di quante richieste arrivavano per la gestazione per altri (che in gergo viene chiamata utero in affitto), ha deciso di studiare meglio la materia, aprendo nel 2013 la sua agenzia Prepara, che oggi aiuta le coppie a districarsi nella lunga trafila per avere un figlio grazie a una portatrice: “In Spagna la Gpa non è consentita ma la legislazione consente comunque la consulenza e l’intermediazione, che sono proprio gli aspetti che curo io. Nessun intento di pubblicizzare una tecnica di vietata in Italia. Il mio scopo è informare”.
Tre le coppie che si rivolgono alla sua agenzia ci sono sia omosessuali che etero: “Le coppie eterosessuali in genere non sono riuscite ad avere un bambino in un’altra maniera o non hanno ancora tentato tutte le strade possibili, come la fecondazione assistita. Per questo, prima di intraprendere il percorso, cerchiamo di chiarire insieme bisogni, esperienza passata e desideri. Molte delle coppie che prendono contatto con noi sono però gay perché i Paesi con i quali ho deciso di lavorare, Stati Uniti e Canada, permettono il percorso a diversi tipi di famiglie al contrario di altre destinazioni meno care e meno lontane con le quali per ora non abbiamo rapporti”.
Oltreoceano non sono però Laura e i suoi collaboratori a cercare e selezionare le donne che porteranno avanti la gravidanza: “Tutto questo è infatti in capo alle agenzie dei Paesi dove la Gpa è legale. Io accompagno le coppie nella scelta della clinica, nei vari colloqui, nella modulistica, nella scelta della donatrice, aspetto che viene poco preso in considerazione nella prima fase”.
Su dieci coppie che si rivolgono a Prepara (a volte a Madrid, altre intrattenendo i rapporti via Skype) due si decidono effettivamente per la surrogacy: “La maggior parte sono italiane, diverse delle quali anche dall’Emilia-Romagna. Il bello, per me, è contribuire alla realizzazione del loro sogno e del loro progetto di vita. Questo significa vivere fasi lavorative molto complesse dal punto di vista emotivo, soprattutto quando i futuri genitori hanno un trascorso di dolore e sofferenza”.
Negli amici e nei parenti il lavoro di Laura ha suscitato parecchia curiosità ma anche apertura: “Da altre persone, invece, ho sentito arrivare tutto il peso del pregiudizio. In Italia, in particolare, è ancora radicata nella cultura l’idea che la gestazione e la maternità non possano essere scisse. Già l’espressione ‘utero in affitto’ manda un messaggio negativo, come se la donna che vive la gravidanza cedesse una parte del proprio corpo solo per soldi o perché costretta. Nei Paesi del primo mondo le portatrici sono donne in grado di scegliere, di capire se vogliono o no figli loro e se desiderano dare a una coppia la gioia dell’essere genitori. Al contrario di quello che spesso si pensa, insomma, è una questione di libero arbitrio e di auto-determinazione femminile“.
Con alcune coppie che ce la fanno, poi, capita di rimanere in contatto: “Inevitabile, nel mio lavoro, condividere pezzi di vita e sensazioni. Ecco perché, nella mia rete di collaboratori, ho scelto di inserire anche degli psicoterapeuti, oltre ad avvocati e consulenti. Dare un appoggio professionale penso sia fondamentale”.
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