Il cardiologo: “Dopo la morte di Astori, genitori nel panico”

Gabriele Bronzetti

“Per spiegare la morte di Davide Astori si è ricorsi a una parola d’uso troppo comune”. Dopo la scomparsa del capitano della Fiorentina, il cardiologo pediatrico del Sant’Orsola di Bologna Gabriele Bronzetti è stato sommerso di messaggi e telefonate da parte di genitori preoccupati che anche ai loro figli possa succedere qualcosa di simile. Argomento sul quale il medico ha scritto un commento su Facebook per spiegare come un termine medico, se utilizzato nel modo sbagliato, possa davvero creare fraintendimenti.
Dottore, chi le sta scrivendo in questi giorni?
“Mamme, per lo più. Di pazienti che ho seguito ma anche di bambini e ragazzi che non conosco. Mi chiedono in larga parte a quali esami debbano sottoporre i propri figli per scongiurare una morte improvvisa come quella di Astori. Purtroppo sui giornali, per motivarne il decesso, si è parlato di bradicardia, parola che anche molti nostri pazienti hanno sul referto. Ma bradicardia non significa altro che cuore lento. Ed è un concetto dalle mille declinazioni. Si può essere bradicardici per motivi fisiologici: ci sono famiglie in cui tutti i componenti lo sono. Si può essere bradicardici perché si è atleti, si è molto allenati e quindi si ha un cuore più grande e capiente, che risparmia battiti. Ma lo si può essere anche per merito dei farmaci, quindi volutamente: negli ultimi decenni i medicinali più rivoluzionari, in cardiologia, sono stati quelli utili a fare andare più piano il cuore. I cuori malati sono spesso quelli che vanno più forte”.
Nel caso di Davide Astori, dove sta l’errore?
“Fermo restando che una bradicardia può diventare una bradiaritmia quando il cuore rallenta in modo anomalo, nel caso di Astori è impossibile dire solo sulla base dell’autopsia che è stata una bradicardia a causarne il decesso: bisogna infatti aspettare i test genetici. Dall’altro lato è chiaro che, prima di fermarsi, il cuore ha rallentato. Purtroppo i genitori hanno associato la bradicardia alla morte. E non c’è giorno in cui non riceva un messaggio da una mamma nel panico che mi chiede se sono necessari, per il figlio, holter cardiaco o risonanza”.
A spaventare non è anche il fatto che ci si aspetta che un atleta sia iper controllato?
“Sicuramente sì. Ma in Italia la medicina dello sport è la più avanzata del mondo. Esiste, purtroppo, la fatalità: anche una persona perfetta può morire, anche se statisticamente è un evento rarissimo”.
Che cosa ci insegna, questa storia?
“Che comunicare male è pericoloso. Che usare termini medici è rischioso. Fino a qualche anno fa si spiegava tutto con le parole infarto o malore. Adesso, forse per effetto delle serie televisive mediche, si tende a entrare nel tecnico. Sbagliando, spesso”.

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