Vaccini: e ora anche i medici dovranno farli

Medici e infermieri non danno il buon esempio. Secondo le più recenti statistiche la percentuale di vaccinati fra di loro in Italia non arriva al 20%. Una situazione che qualche tempo fa aveva portato Paolo Bonanni, docente di Igiene dell’Università di Firenze e componente della Società d’Igiene Siti, a usare parole forti: “E’ una vergogna per la categoria – aveva detto -. E’ difficile convincere i cittadini a vaccinarsi se poi sono proprio i medici a non vaccinarsi. L’esempio è un fattore di comunicazione importante”.

Ora però qualcosa potrebbe cambiare. Dopo diversi appelli si passa ai fatti. Le Regioni vogliono attuare il Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale 2017-2019 nel quale si auspica che ogni azienda sanitaria promuova iniziative idonee ad incrementare l’adesione alla vaccinazione da parte dei propri operatori e degli studenti durante la campagna vaccinale antinfluenzale d’autunno. Sempre in questa direzione va la Carta di Pisa delle vaccinazioni negli operatori sanitari (sottoscritta a primavera 2017), un documento che si è reso necessario a causa dell’elevato “numero di casi di morbillo tra gli operatori sanitari registrato nel corso dei recenti eventi epidemici e lo sconfortante tasso di adesione alla vaccinazione antinfluenzale”.

In Emilia-Romagna un documento che sta già facendo discutere i sindacati chiede a medici e infermieri di vaccinarsi contro morbillo, rosolia e varicella pena l’impossibilità di lavorare nei reparti a rischio come pronto soccorso, pediatria e oncologia. Chi si rifiuta verrebbe spostato ad altra mansione, in altro reparto. Trasferito, insomma. Si torna dunque a fare pressing sugli operatori sanitari, dopo che l’obbligo era stato cancellato dalla legge sui vaccini (originariamente era previsto così come quello per gli insegnanti) e nonostante il ministro Beatrice Lorenzin avesse annunciato che le vaccinazioni obbligatorie dovrebbero essere uno dei prerequisiti per lavorare all’interno del Servizio sanitario nazionale.

La proposta,  in discussione tra sindacati e vertici regionali della Sanità e individua aree sanitarie ad alto rischio per gli operatori sanitari e per i pazienti e cioè i reparti di oncologia, ematologia, trapianti, neonatologia, ostetricia, pediatria, malattie infettive, pronto soccorso e rianimazione. Lo scopo è quello di “prevedere che in queste aree possano svolgere la loro attività solo gli operatori che risultano portatori di immunità diretta o indiretta nei confronti di morbillo, parotite, rosolia e varicella, in quanto malattie prevenibili da vaccino”.

Un provvedimento che dà seguito a quanto circa un anno fa aveva auspicato Fausto Francia, allora direttore del dipartimento di Sanità pubblica dell’Ausl di Bologna e presidente della Siti, la Società italiana di Igiene. Allora il medico aveva spiegato: “C’è il rischio che alcuni pazienti contraggano malattie mentre lottano per altro”. Sarebbero oltre mille i dottori della regione coinvolti.

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