Emilia-Romagna, 332 morti fetali in tre anni. Il ginecologo: “Dobbiamo fare di più”

Tra il 2014 e il 2016, in Emilia-Romagna, sono state registrate 332 morti fetali (dopo la 22 esima settimana di gestazione), di cui 17 intrapartum, su un totale di 107.528 nascite, con un tasso di natimortalità pari a 3,09‰. Le MEF (morti endouterine fetali) precoci, avvenute tra 22+0 e 27+6 settimane di gestazione, sono 80, pari a 0,74‰; quelle tardive, avvenute da 28+0 settimane in poi, come definito dall’Organizzazione mondiale della sanità, sono 251, pari a 2,33‰. A dirlo, per la prima volta, è il Rapporto CedAp (certificati assistenza al parto) la cui ultima edizione è stata presentata la settimana scorsa.

In 54 casi (16,4%) alle morti sono state assegnate cause diverse. I gruppi più importanti di cause sono risultati le patologie placentari (38,5%), seguite da quelle fetali (17,6%), del cordone (14,2%) e dalle patologie materne (7,6%). In 14 casi (4,2%) non sono stati eseguiti tutti gli accertamenti e quindi non è stato possibile attribuire una causa di morte, mentre in 47 casi (14,2%) la MEF è rimasta inspiegata nonostante l’esecuzione di tutte le indagini.

Ma quali sono i fattori di rischio? Prima di tutto l’età materna: è risultato un incremento delle patologie fetali nelle donne di età superiore a trent’anni. Anche l’epoca gestazionale conta: le infezioni sono associate alle morti endouterine precoci mentre le patologie placentari a quelle avvenute prima della 37esima settimana. Senza contare l’associazione riscontrata tra sovrappeso e patologie materne. Quanto alla crescita fetale, la restrizione di crescita è associata alla presenza di patologie placentari mentre la crescita eccessiva risulta correlata alla presenza di patologie materne.

La qualità dell’assistenza è stata valutata adeguata in 94% di questi ultimi casi e non ha quindi rappresentato un fattore che ha favorito la MEF. Confermato anche come le popolazioni di nazionalità straniera abbiano un aumentato rischio di MEF rispetto alla popolazione italiana: “Ciò – dice il rapporto – è particolarmente evidente per le donne provenienti dall’Africa sub-sahariana, nelle donne di origine nord-africana e da quelle provenienti dal sub- continente indiano”.

“Molti colleghi non saranno d’accordo – commenta Giuseppe Battagliarin, presidente della Commissione consultiva tecnico scientifica regionale sul percorso nascita – ma si dovranno comunque convincere che la medicina non è una scienza e tanto meno un’arte (come pomposamente e retoricamente si sente ancora affermare in certi convegni dove l’autoreferenzialità la fa da padrona). La medicina, riprendendo la definizione di Giorgio Cosmacini, è una pratica, fondata su altre scienze come, per esempio, la matematica e alcune delle sue branche quali la statistica e l’epidemiologia. Svolgiamo la nostra professione grazie al fatto che vengono condotte elaborazioni che misurano rischi assoluti e relativi, probabilità o frequenze di ripartizione di popolazioni o di eventi che le riguardano. Da qui sorge la necessità che la collezione di informazioni, in futuro, non si basi più unicamente sui CedAP, ma anche sulla raccolta, la centralizzazione e l’elaborazione delle schede riguardanti la natimortalità e non solo. Se il progetto che sta per essere avviato in collaborazione fra le direzioni sanitarie, i risk manager e la Commissione nascita diverrà operativo, potremo contare su report della natimortalità, della mortalità perinatale, dei near miss ostetrici e neonatali e degli eventi sentinella. Ma il progetto si realizzerà solo se i direttori sanitari, i direttori delle unità operative, unitamente ai referenti ostetrici, neonatologi e ai risk manager di tutte le aziende sanitarie, collaboreranno fattivamente, considerando questa attività altrettanto importante di quella clinica. La raccolta dati è un processo non da subire, ma da promuovere”.

E aggiunge, in riferimento alla grade discussione sui punti nascita con meno o con più di 500 parti all’anno: “Il 2017 verrà probabilmente ricordato in Emilia-Romagna come l’anno terribile dell’avvio della ristrutturazione della rete perinatale. Questo momento doveva arrivare, dopo il prolungato arco temporale lungo il quale, costantemente, i dati compresi nel Rapporto sulla nascita hanno documentato l’obsoleta organizzazione della rete, caratterizzata da ridondanze strutturali e inappropriatezze assistenziali. Anno dopo anno, sui tavoli dell’Assessorato si sono accumulate le sintesi delle analisi pubblicate nei Rapporti che dimostravano quanto la popolazione di mamme andasse diminuendo, la rete dei punti nascita Spoke fosse sovradimensionata e quanto questi fattori, congiuntamente, andassero ad alimentare l’inappropriatezza assistenziale, documentata da valori di indicatori di qualità nettamente inferiori a quelli definiti dal Ministero della salute”.

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