Solarolo fa scuola: nei negozi arrivano i simboli per chi ha problemi comunicativi

La piccola Solarolo, nel Ravennate, potrebbe diventare un modello per tanti comuni d’Italia in cui i commercianti vogliono facilitare la comunicazione delle persone che per vari motivi – non solo per una disabilità permanente – hanno bisogno di facilitazioni. Oggi, infatti, dopo il corso teorico seguito nelle settimane scorse, i circa quindici negozianti che hanno aderito al progetto “Una città in CAA” entreranno nella parte pratica per capire come le loro attività possono essere tradotte in simboli e disegni, al pari delle richieste che un cliente (bambino, adulto, ragazzo) può fare. CAA sta infatti per comunicazione aumentativa alternativa, un tipo di linguaggio molto usato con i bambini con problemi cognitivi e difficoltà ad esprimersi.

L’idea è venuta alla pedagogista e assessore comunale Martina Tarlazzi insieme a Roberta Zoli, mamma della piccola Francesca, la bimba affetta dalla sindrome da delezione 1p36 scomparsa lo scorso aprile: “Avevo approfondito la CAA sperando di poterla utilizzare, un giorno, con mia figlia. Nell’associazione ‘Fare leggere tutti’, che aveva ipotizzato inizialmente di rendere Faenza in CAA, e nella onlus Autismo Faenza, ho trovato l’appoggio giusto. Partire dalle piccole realtà è sempre un bene: pensare che a Solarolo i bambini che usano questo tipo di comunicazione a casa e a scuola possano continuare a usarla nei negozi e nei bar del paese, sentendosi quindi autonomi e compresi, mi rende felice. L’adesione è stata quasi totale e di questo siamo molto soddisfatte”.

Per quanto la formazione degli esercenti e i diritti legati ai simboli siano stati pagati dal Comune, Roberta è e sarà il punto di riferimento per l’aggiornamento e le eventuali modifiche dei simboli: “Su questa materia non c’è storia, non sappiamo di altre città che in Italia abbiamo fatto o stiano facendo percorsi simili. Speriamo di fare da esempio, di segnare l’inizio di un lungo cammino. Questo progetto ha un respiro più ampio di quello che sembra: penso a una persona afona a causa di un intervento che vuole chiedere un gelato, a uno straniero che non sa come dire che nel caffè vuole il latte freddo. Speriamo davvero che altre comunità si aggreghino a noi e al nostro entusiasmo”.

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