Una “retata”, una caccia alla diagnosi a tutti i costi, alla certificazione. Daniele Novara, pedagogista e fondatore del CPP (Centro psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti) di Piacenza, nel suo ultimo libro “Non è colpa dei bambini” (Bur) denuncia come la neuropsichiatria abbia ormai sostituito l’educazione e di come la scuola abbia abdicato a parte del suo ruolo dietro l’alibi della presenza di una patologia.
Novara, quando escono i numeri di alcuni disturbi, come i Dsa, l’aumento viene spesso letto come una maggiore capacità di individuare e diagnosticare il problema. E invece?
“E invece vorrei che si chiamassero le cose con il loro nome. Assisto da anni a una caccia alla patologia, che viene confusa con l’immaturità del bambino. Ho da poco parlato con una coppia di genitori il cui figlio, due anni e mezzo, rischia una certificazione perché dice solo sette parole. Ma scherziamo? Siamo al punto in cui una semplice difficoltà nella lettura viene subito etichettata come dislessia”.
Come si potrebbero impiegare i soldi spesi per il versante sanitario di tutta questa storia?
“In sostegno alla genitorialità, in scuole per genitori, in interventi pedagogici. L’Emilia-Romagna è rimasta l’unica regione a prevedere la figura del pedagogista nei nidi. Siamo una professione nell’ombra. Le scuole si stanno trasformando in avamposti degli ospedali, dove le certificazioni mascherano vuoti incredibili in termini strutturali ed educativi. Sarebbe bene, al contrario, lavorare sulla normalità educativa, che a sua volte produce normalità psico-evolutiva. Se ci si concentra a cercare la patologia, l’unica risposta che si può trovare è la diagnosi. Che è funzionale al quello che è un vero business: sono in tanti, del resto, a lavorare nel settore della disabilità”.
E i genitori, in tutto questo?
“I genitori sono spesso sollevati dalle diagnosi, tirano un sospiro di sollievo nel sapere che il problema dei figli non è più legato a una loro responsabilità. Un’arrendevolezza da condannare e che genera un fallimento. Quello più grave, però, io lo imputo non agli insegnanti quanto al sistema scolastico italiano, che non consente ai docenti di essere reclutati sulla base del merito e delle competenze. Sono molto più elastico di fronte agli errori dei genitori. Dall’agenzia educativa che dovrebbe formare i nostri figli no, non posso accettare una così grave deresponsabilizzazione. Così come non posso vedere gli alunni trasformati in pazienti”.
Quali sono gli effetti a lungo termine di questa tendenza?
“Stiamo crescendo una generazione di presunti malati mentali, stiamo dando credito all’idea che la specificità di ogni bambino sia qualcosa da correggere”.
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Commenti:
Sono una rieducatrice della scrittura e ho insegnato per 30 anni alla scuola superiore. Condivido quanto detto da Novara ma non nel mettere al primo posto la responsabilità della scuola. Il primo ambito educativo e’ la famiglia, e come insegniamo ai bambini a lavarsi le mani e i denti, dovremmo anche insegnare il rispetto, l’attesa, la delusione, l’assenza, il riposo ……basta con questa filosofia del tutto subito tanto e sempre. Davvero rischiamo di lasciare per il mondo giovani non integrati e disadattati, degli incapaci a vivere se non in una dimensione unica: l’individualismo spinto, che non e’ individualità. In questo discorso rientra anche la capacità di scrittura, cioè di adattarsi al tempo e allo spazio con forme prestabilite e condivise. Ovviamente l’abilità di scrittura non è solo questo ma è anche questo . I genitori devono fare i genitori e non gli adulti insipienti di cui abbiamo lo spettacolo.
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