Mi ricordo come fosse ora la prima volta che ho disobbedito. Avevo 6 anni. Mia mamma mi aveva mandato all’emporio a fianco casa con un sacchettino sigillato, ermeticamente chiuso, dicendomi: “Dallo alla Rosa, lo sai lei cosa ti deve dare, ma non aprirlo, mi raccomando. Daglielo così com’è, senza aprirlo, sei una bambina giudiziosa e chiedi sempre di fare le ‘cose dei grandi’, io ti guardo dalla strada e ti aspetto”.
Mi ricordo che presi il Sacchettino in mano, contenta di andare per la prima volta in un posto da sola, e se fossi stata brava ci sarei potuta andare sempre finalmente! Bastava solo non aprire il Sacchetto. Quando arrivai dissi alla bottegaia: “Mi manda mamma, ha detto che sai tu cosa mi devi dare”, le allungai il sacchetto con le mani sporche di sangue vergognandomi come mai prima… Il sacchetto ermeticamente chiuso conteneva il modello di rasoio che usava mio babbo. Io avevo aperto tutto, un pacchetto sigillato da più strati di carta e nastro adesivo, e ogni strato che scartocciavo mi dicevo “fermati e richiudi tutto”, ma invece andavo avanti un po’ per la curiosità tipica dei bambini un po’ perché stavo assaporando una sensazione sconosciuta e eccitante, non sapevo di cosa si trattasse, era un misto di paura e piacere.
Era la novità del disobbedire, di fare qualcosa di proibito. Finché non togli la mano e vedi il sangue puoi ancora tirarti indietro, poi no. Poi sai che ci saranno delle conseguenze, delle punizioni, delle sgridate, degli sguardi di delusione. Lo sai e ti iniziano a tremare le gambe e a sentire un nodo in gola. Così come sai che la tua natura d’ ora in poi sarà quella è non potrai combatterci più di tanto. Quella di aprire tutti i pacchetti chiusi che ti si raccomanda di non aprire e farlo pur sapendo tutto il male che da questo potrà scaturire. L’unica cosa che puoi fare è farti in bella scorta di cerotti. Per evitare almeno la vista delle ferite. Una cosa l’ho imparata: aprendo un Sacchetto che sai di non dover aprire, la lametta di un rasoio è la cosa meno tagliente e pericolosa che puoi trovare.
Questo aneddoto oltre a essere un ricordo d’ infanzia rappresenta una metafora di come da bambina e adolescente mi approcciavo al mondo della sessualità: qualcosa di terribilmente attraente ma che collegavo a qualcosa di proibito e peccaminoso. Non per educazione ricevuta, per nulla intrisa di moralismo o perbenismo cattolico o bigotto (i miei genitori sono entrambi atei ) ma forse per non aver mai avuto sin da piccola un rapporto sereno con la mia fisicità. Ero una bambina introversa, amante della lettura, terribilmente goffa e insicura. Cercavo di spiccare per le mie doti intellettive dove sapevo di poter eccellere ma mi sentivo un brutto anatroccolo circondata da amichette belle, civettuole già a dieci, dodici anni, dalla chioma bionda e il nasino all’insù, già padrone della propria fisicità che ostentavano ai saggi di danza o alle feste di compleanno sfoggiando vestitini da bambola e già in grado di ammaliare e fare innamorare tutti i compagni di scuola. Che ovviamente non mi guardavano neanche per sbaglio, e io un po’ ero sollevata di non dovermi cimentare con fidanzatini, baci nei bagni durante la ricreazione e bigliettini scambiati durante l’ ora di matematica. Ma forse un po’ ero anche incuriosita e attratta da questa dimensione, cosi come ero attratta dal contenuto del sacchettino della mamma.
Per tutta l’ adolescenza il sesso è stato un terreno minato, il mio corpo da bambina diventava quello di una donna senza che io potessi avere voce in capitolo: il seno esplodeva e io indossavo abiti larghi per coprirmi. L’ora di ginnastica era un calvario, vivevo questo sbocciare di forme prorompenti come una violenza che la natura mi nfliggeva e detestavo i complimenti di chi iniziava a intravedere sotto quelle felpe extralarge un fisico quasi perfetto. E quando non si ha confidenza con il proprio corpo qualsiasi esperienza di sesso diventa imbarazzante o traumatica. È così furono le mie prime esperienze: un disastro totale. Poi le cose cambiarono.
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