Fiore: “La felicità per mio figlio? Che esca dalla sala operatoria uomo”

trans, gender

“Non vedo l’ora, perché sarà finalmente felice”. Fiore è una mamma. Ma è soprattutto la mamma di D., 24 anni, che alla nascita era una bambina ma che si è sempre sentita un maschio. Non è facile, in un piccolo paesino della provincia di Bologna, spiegare che tua figlia in realtà è tuo figlio, che la sua transizione si concluderà a breve, quando finirà sotto i ferri per diventare un uomo anche a livello biologico, così da poter cambiare sesso e nome anche sui documenti.

Fiore e D. fanno entrambi parti del Gruppo Trans* Bologna che per questa sera alle 20, in Piazza Scaravilli a Bologna, organizza il convegno“Quale futuro per le persone trans* e intersex in Italia?” (ne avevamo parlato qui): “Il mio sogno – spiega Fiore – è creare un giorno dei gruppi di ascolto per genitori che si trovano nelle mie stesse condizioni. Io ho capito solo tardi, quando mio figlio ancora minorenne ci ha rivelato quale fosse il problema, che per anni avevo sottovalutato la situazione, semplicemente pensando che fosse omosessuale. Nella mia ignoranza e inconsapevolezza, non avevo affatto preso in considerazione l’ipotesi che si sentisse a disagio nel suo corpo. Eppure, col senno di poi, di segnali ce n’erano: non solo perché voleva i capelli corti e metteva abiti maschili, ma anche perché guardava le donne e perché nel suo percorso scolastico è stato più volte deriso e anche picchiato, purtroppo”.

Oggi Fiore sta cercando di recuperare il tempo perduto, stando accanto a suo figlio e sostenendolo in ogni modo: “Per suo padre è stato diverso, viene da una famiglia eccezionale ma di vecchi valori, dove certi temi sono ancora tabù. Io, invece, non tollero nemmeno la parola accettare. Da mamma voglio solo la felicità di mio figlio e quando mi ha raccontato che si sentiva un ragazzo, mi sono solo chiesta come avessi fatto a non pensarci prima e mi sono solo preoccupata della sofferenza fisica che l’avrebbe atteso. Per il resto, l’ho accompagnato e lo sto ancora accompagnando a ognuno degli appuntamenti che riguardano la sua transizione. E quando sarà il momento dell’intervento, gli sarò come sempre affianco, perché per lui riappropriarsi del proprio corpo è fondamentale”.

Per quanto riguarda il contesto sociale, oggi Fiore è soddisfatta: “Mio figlio è circondato da persone che gli vogliono bene e il suo bel carattere lo aiuta forse ad aprirsi e agli altri e a non essere discriminato. Ma le cose non vanno sempre così: il mondo del lavoro non è preparato, nel 90% dei casi si viene esclusi perché trans, complice una legge vecchia 35 anni che di fatto impone l’intervento chirurgico per il cambio dei documenti. Mio figlio fa il barista e lavora in discoteca, di recente abbiamo anche aperto un locale nostro. Ma ha lasciato il mondo della scuola prima del previsto anche perché non si sentiva adeguatamente protetto dall’istituzione deputata a farlo“.

Dal canto suo Fiore ha sentito forte il senso di colpa, che l’ha portata ad avere anche crisi depressive: “Piango ancora oggi, quando sono da sola. Per me che l’ho partorito, sapere di non avergli dato il corpo che doveva essere il suo è stato ed è pesante. A pensarci oggi, gli avrei anche potuto risparmiare tanta sofferenza inutile: me lo ricordo, quando da piccolo diceva che voleva essere un bambino. Un disagio esploso più avanti, quando non aveva più voglia di fare niente, neanche di vivere. Ai genitori dico che non è vero che a sei o sette anni sia impossibile avere la consapevolezza che dentro al proprio corpo si sta male. La storia di mio figlio dimostra che, anche da molto piccoli, si può avere già capito tutto di se stessi”.

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