Centro giovanile Quake, l’educatore: “Ogni giorno abbattiamo un po’ di pregiudizi”

Mirco Battistini

“Pur non avendo il privilegio di essere papà, ogni volta che un ragazzo o una ragazza si confida con me anche su argomento delicato, mi cerca, vuole un consiglio o chiede attenzione, mi provoca un’emozione unica. Significa che si fidano. E che sono, per loro, un riferimento”. Mirco Battistini, educatore della cooperativa Progetto Crescita, è il coordinatore del Quake, il centro di aggregazione giovanile del Comune di Ravenna, che ne ha affidato la gestione al consorzio Selenia.

Da otto anni in via Eraclea, in pieno quartiere Darsena, in questi giorni sta sperimentando insieme alla collega Angela della coop Il Cerchio l’apertura mattutina, richiesta a gran voce dagli stessi adolescenti: “Questo è il secondo anno in cui assicuriamo la copertura dell’intera estate, a parte due settimane in agosto. Le presenze, infatti, crescono esponenzialmente dalla primavera, quando aumenta il tempo libero e i ragazzi non sanno bene dove andare. Qui hanno a disposizione, principalmente, due cose: il gruppo dei pari e quindi la possibilità di stare insieme, ma anche una serie di attività gratuite”.

Dai corsi di cucina a quelli di musica e hip hop, passando per i giochi di società, gli utenti – dagli 11 ai 18 anni, con un recente picco di chi è ai primi anni delle medie – non trovano al Quake solo un posto in cui stare: “Il nostro compito è dare un’alternativa a casa, alla strada. Che può essere una stanza in cui fare i compiti, un computer per compilare e stampare un curriculum ma anche il consiglio giusto al momento giusto. Come quando lavoriamo a contatto diretto con il consultorio di quartiere, che ha davvero cambiato le cose da quando è stato istituito. Per tutta la parte che riguarda l’educazione sessuale e la contraccezione, infatti, possiamo fare affidamento su un servizio che è a pochi passi da qui”.

Parallela all’attività educativa vera e propria, c’è quella culturale: “Ogni giorno – racconta Battistini – mi sveglio con l’obiettivo di infrangere ancora un pezzetto dello stereotipo che è stato appiccato addosso al Quake, che essendo inserito in un quartiere considerato da sempre difficile e a rischio, non sempre gode di buona reputazione. C’è chi pensa che qui i ragazzi facciano uso di sostanze, che bivacchino o che siano promiscui. Questa, al contrario, è una zona protetta dove sono costretti a rispettare certe regole, dove si avanzano richieste e proposte, dove l’integrazione tra italiani e stranieri è realtà concreta”.

Il punto critico, piuttosto, riguarda il rapporto con i genitori, difficilissimi da agganciare: “Ben pochi si avvicinano. E non conoscendoci, possono farsi idee sbagliate. D’altro canto noi non prendiamo in carico i ragazzi. Semplicemente, registriamo gli accessi, che comunque sono liberi, per quanto tracciati da una scheda in cui gli utenti lasciano i loro dati. A volte, vivendo a contatto con le loro storie, ci si sente un po’ dei portavoce della loro giovinezza e a volte della loro sofferenza. E si cerca di stare al passo, mantenendo sempre alto il livello di organizzazione, perché di questo hanno bisogno. Su certe dinamiche non è facile intervenire: qui italiani e stranieri si trattano alla pari, nessun problema. Ma a volte sono alcune famiglie a vedere questo meticciato come qualcosa da evitare”.

Certo, in un lavoro sul campo come questo, capita di lavorare diverse ore in più, di convincere i ragazzi a ridipingere un cancello sporcandosi prima di loro le mani di vernice, di prestare il telefono a un ragazzo o pagare una pizza non dovuta: “Ci si affeziona, purtroppo e per fortuna. Tra i tanti ragazzi che vediamo ci sono anche casi delicati di disagio psichico o economico, così come gravidanze precoci e problemi familiari. Alcuni hanno enormi risorse e capacità mentali ma i contesti dai quali provengono non li favoriscono. Anzi, li penalizzano. E noi facciamo quel che possiamo per valorizzarli. Come un ragazzo che aveva abbandonato la scuola e sogna di fare il modello. Ha tentato più volte di tornare su banchi, fallendo. Poi ha trovato un corso che faceva al caso suo. E ora lavora come cameriere in una pizzeria, sul litorale. Piccoli grandi successi che gratificano anche noi educatori”.

E mentre mette nel lavello della cucina il pentolone di spaghetti cucinati per pranzo (“oggi, a tavola, eravamo in sedici”), Mirco guarda già alla prossima richiesta avanzata all’assessorato alle Politiche giovanili di Valentina Morigi: “Abbiamo chiesto un campo da basket. E ci hanno detto sì. Un modo per dare credito a quello che sognano i ragazzi. Quando discutiamo quello che ci piacerebbe avere qui, lo mettiamo a verbale. Perché tutti si sentano importanti”. E in vista di settembre, il Quake è a caccia anche di una persona volontaria che dia una mano nell’attività di sostegno ai compiti. 

“Qualche decennio fa questo quartiere era associato alla baby gang dei cosidetti ‘gullini’. Siamo qui a dimostrare che siamo ben altro”, conclude il coordinatore. Con la mostra ‘Facce da Quake’ che chiude domani alla Darsena Pop Up, Battistini ha voluto ribadire proprio questo: “Che tu sia italiano o tunisino, che tu abiti nelle case popolari o no, che tu vada bene o male a scuola, quando vieni fotografato davanti a un muro, sei solo e semplicemente un ragazzo. Da guardare in modo neutro, senza alcun pregiudizio a fare da filtro”.

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