Punti nascita. Mea culpa dei medici: “Poco sicuro partorire in ospedali piccoli”

Pochi parti, parti insicuri. Medici, pediatri e neonatologi della Romagna denunciano una situazione a loro detta non più prorogabile: i punti nascita con meno di mille parti all’anno – come Lugo e Faenza che nel 2016 ne hanno fatti registrare rispettivamente 602 e 634 – vanno riorganizzati in base all’Accordo Stato-Regioni del 2010, secondo il quale le strutture con meno di 500 parti all’anno (ce ne sono sei in Emilia-Romagna) vanno chiuse e quelle con un numero di parti tra i 500 e i mille (sette in regione) accorpate.

Le compagini regionali della Società italiana di neonatologia (Sin), della Società italiana di pediatria (Sip) e dell’Associazione cultura pediatri (Acp), così come la Società italiana di medicina perinatale (Simp) e l’Accademia medico infemieristica di emergenze e terapia intensiva pediatrica (Amietip) hanno inviato un documento alla Commissione nascita e all’assessorato alle Politiche per la Salute della Regione per quello che Gina Ancora, che dirige la Neonatologia dell’ospedale di Rimini e che presiede la Sin chiama “mea culpa dei medici a tutela della sicurezza delle mamme e dei bambini”. Un mea culpa diffuso nella sede dell’Ordine dei medici di Ravenna.

L’obiettivo non è solo quello di avviare nella giusta direzione le politiche sanitarie ma di spiegare alla cittadinanza perché non si può sempre avere un ospedale sotto casa dove partorire: “Le donne e le famiglie devono sapere che, per questioni di personale preparato alle emergenze e di tutta una serie di dotazioni di cui i punti nascita più grandi dispongono, è molto più sicuro far nascere un bambino dove ci sono grandi volumi di attività. Il parto nella stragrande maggioranza dei casi è un evento fisiologico ma quattro volte su mille, dopo travagli prolungati e parti difficili, andiamo incontro al rischio che il bambino muoia o resti seriamente danneggiato a livello cerebrale. Non deve spaventare, invece, il parto precipitoso, quello che spesso fa cronaca perché una mamma partorisce sulle scale di casa o in macchina: si tratta di situazioni che non danno praticamente mai problemi, che non portano a complicanze”.

Al contrario, i servizi dedicati alla gravidanza e al puerperio devono – secondo il documento – rimanere localizzati a livello territoriale: “Il nostro appello riguarda – continua Ancora – solo il parto: due giorni in cui una mamma può benissimo pensare di restare lontana da casa. Già molte delle donne, magari per gravidanze complicate ma anche per altri motivi, decidono di non partorire nell’ospedale di riferimento: è una cultura che si sta diffondendo”.

A fare abbassare i numeri di attività degli ospedali periferici ci si è messo negli ultimi anni anche il crollo della natalità: “L’Emilia-Romagna, negli ultimi cinque anni, ha perso 9mila nati. Fenomeno che ha acuito quello dello svuotamento dei punti nascita. Nella sola provincia di Ravenna, nello stesso periodo, abbiamo assistito a un -23% delle nascite”.

Per quanto riguarda la situazione strettamente locale, l’ipotesi potrebbe essere quella di accorpare Lugo e Faenza, che nel primo quadrimestre del 2017 hanno contato in tutto 290 parti. Se si dovesse mantenere il trend, a fine anno non si raggiungerebbero i mille.

A rincarare la dose Leonardo Loroni, conosciuto pediatra ravennate e referente dell’Amietip: “Non possiamo trincerarci più dietro la giustificazione che le paralisi cerebrali e le morti durante il parto sono eventi rari, perché quando colpiscono una famiglia, sono tragedie dalla portata disumana”. Massimo Farneti, referente dell’Acp, ha aggiunto che accentramento e accorpamento dei punti nascita non sono motivati da esigenze di risparmio economico: “Al contrario, l’esigenza è risparmiare delle vite. Questo è il nostro appello. Speriamo che la politica ora faccia le sue scelte”.

 

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