“Aveva la sua stanza, andava al lavoro, giocava a basket”. Giovanni Rimondi è uno studente dell’ultimo anno del liceo Minghetti di Bologna. All’inizio di gennaio, insieme alla sua famiglia – i genitori e i cinque fratelli – ha concluso un’esperienza di accoglienza fuori dal comune: ospitare per oltre a casa un anno un profugo, Diadje, proveniente dal Mali.
Diadje è stato anche il primo volto fotografato dal ragazzo e dal suo amico Giovanni Fabbri – studente in architettura – per il loro progetto “How many kilometers”, un viaggio per immagini nei centri di accoglienza di Bologna. Un viaggio che ora è una mostra allestita allo spazio Battirame (via del Battirame 11), dove si può visitare fino all’11 febbraio (dalle 10 alle 17): “Sono cento i visi che abbiamo immortalato e che ne rappresentano,a dire il vero, molti ma molti di più. Sono cento storie molto diverse l’una dall’altra, cento viaggi verso l’Italia molto forti e in alcuni casi disperati”.
Tutto nasce nel marzo del 2015, quando Giovanni, in parrocchia a Dozza, conosce Diadje e altri due maliani: “Una sera alla settimana andavo a mangiare lì, fino a che abbiamo fatto amicizia e la mia famiglia si è adoperata per trovare un alloggio per tutti e tre. Poi i miei genitori, insieme a un’operatrice sociale del centro che ospitava Diadje, hanno pensato all’accoglienza in famiglia. E ci siamo lanciati, senza alcun problema”.
Fare ambientare Diadje, secondo Giovanni, è stato infatti molto naturale: “Lui si è ambientato subito. I corsi di italiano gli avevano già dato una buona dimestichezza con la lingua. Ed è sempre stato grato del nostro aiuto. Come noi a lui. Siamo stati una sorta di ponte per farlo inserire in società. E Diadje è stato, per noi, la conferma che fare del bene agli altri è un’esperienza meravigliosa. Da quando è uscito di casa, la sua mancanza si fa sentire eccome”.
Ora Diadje vive da solo, continua a lavorare in un’azienda agricola, si allena, ha ottenuto la licenza media: “Una dignità assoluta. La stessa che abbiamo voluto dare, con le fotografie, alle persone ritratte nella mostra. Un lavoro molto impegnativo, realizzato tra esami, interrogazioni, compiti in classe. Ma che per noi, appassionati di fotografia e con il tema dell’immigrazione nel cuore, gratifica molto. All’inaugurazione sono venuti alcuni miei professori: una bella soddisfazione”.
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