Mamma e prof, Marilù Oliva: “Nessuna donna sceglie di prostituirsi”

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Se un bambino le chiedesse chi sono quelle donne sul ciglio della strada e cosa ci fanno lì, Marilù Oliva risponderebbe che “sono costrette a fare un lavoro che altrimenti non farebbero”. Scrittrice, insegnante alle superiori e mamma di un bimbo di cinque anni e di una di ragazza di diciotto, Oliva è la curatrice del libro “Il mestiere più antico del mondo?” (prefazione di Camilla Ghedini), pubblicato da ellint. Un’antologia sulla prostituzione per sfatarne pregiudizi e luoghi comuni. E, nel frattempo, per stimolare il dibattito andando a finanziare, con il ricavato delle vendite, Telefono Rosa.
Oliva, i suoi studenti sanno che cos’è la prostituzione?
“Eccome. Hanno idee molto chiare e giudizi molto critici. In classe non abbiamo parlato direttamente del libro. Ma tra i loro interessi e le loro richieste di approfondire, c’è senz’altro il tema della baby prostituzione: che per loro può far rima anche con il fatto di spogliarsi davanti a uno schermo in cambio di una ricarica del cellulare”.
Da dove nasce il suo interesse per l’argomento, invece?
“Da lontano. Sono cresciuta a Bologna, dove ancora vivo. Per andare in centro passavo da via Stalingrado: le prostitute le notavo dal vetro del bus, dal finestrino della macchina. E mi chiedevo spesso, sopratutto d’inverno, quanto freddo patissero. Mi dispiacevo per loro, tanto che il mio primo libro, scritto a dodici anni e mai pubblicato, si intitolava ‘Le ragazze di via Stalingrado’. Fino a che venni a sapere che in classe con me una bambina era figlia di una prostituta: uno choc”.
Per lei, impegnata nella lotta al femminicidio e alla violenza di genere, occuparsi di prostituzione era un passo necessario?
“Un passo molto legato, direi. In fondo le vittime privilegiate di femminicidio sono spesso le prostitute: docili, facili da raggiungere. Donne che magari nessuno andrà a cercare, dopo averle uccise. Le prostitute rapppresentano in qualche modo la parte femminile più esposta e vilipesa”.

Marilù Oliva
Marilù Oliva

Qual è il luogo comune più diffuso, in materia?
“L’idea che le donne vogliano prostituirsi. Un modo per togliersi di dosso sensi di colpa e responsabilità, per non approfondire cosa c’è dietro: il contesto che porta alcune donne a farlo e le implicazioni culturali che invogliano la richiesta. Dico una cosa azzardata ma che penso: secondo me nessuna donna lo fa perché lo sceglie, nemmeno a livello di escort di lusso. Poi alcune sbandierano il proprio mestiere come una scelta: forse più per senso di rivalsa, che per altro”.
Resta, comunque, un discorso taboo?
“Sì, c’è la tendenza a considerare la prostituzione un mondo altro, lontano da noi. Ma il Codacons ha calcolato che in Italia ci sono 70mila sex workers, a fronte di 9 milioni di clienti. Numeri grandi che ci devono fare pensare. Se sulle condizioni di miseria e squallore da cui spesso provengono le prostitute non possiamo agire, sul contesto culturale sì. Non è un lavoro semplice, né veloce. Ma parlando ai bambini e ai ragazzi, prendendoci tutti la responsabilità di educare al rispetto, nell’arco di due generazioni secondo me le cose saranno cambiate: sono ottimista”.
La prostituzione non è, come spesso si dice e come il titolo del libro suggerisce, il mestiere più antico del mondo. Sono molti gli stereotipi duri a morire?
“Sì, così come il linguaggio va cambiato. Tra i sinonimi di prostituta, quello che mi dà più fastidio è ‘battona’. Altri, come ‘malafemmina’, fanno quasi sorridere per l’insesatezza”.

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Commenti:

  1. E’ falso! Ho conosciuto diverse donne, che hanno lasciato il mestiere di meretrice e sono tornate in via definitiva a questo; proprio come madre e figlia prostitute consapevoli, le quali sfasciavano le rispettive auto di grossa cilindrata di continuo.

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