Ilenia, vent’anni: “Mi davano per pazza. Ma sono Adhd e non mi vergogno più”

foto ile tesi“Fino a qualche anno fa, pensavo di essere l’unica al mondo a soffrire del mio disturbo”. Ilenia Nanni, vent’anni, è una ragazza di Santarcangelo che oggi non si può più definire “pazza” o “ritardata mentale”, come spesso durante l’infanzia e l’adolescenza è stata etichettata. Dopo una vaga diagnosi di deficit dell’attenzione avuta alle scuole elementari, solo un paio di anni fa Ilenia è riuscita a dare un nome alla sua sindrome: quella sigla, Adhd, che l’ha salvata: “Definire il mio problema mi è servito a non vergognarmi più, a scoprire l’esistenza di molte altre persone come me, a cercare e trovare condivisione”.

Nascere alla fine degli anni Novanta, invece, ha dato a Ilenia molto filo da torcere: “L’Adhd mi ha sempre giocato un brutto scherzo: la mia malattia era un tabù, qualcosa da nascondere”. Perché quella “sindrome da deficit di attenzione e iperattività”, un disturbo dello sviluppo neurologico caratterizzato da alterazioni della crescita e dello sviluppo del cervello e del sistema nervoso non ha, come conseguenze, solo disattenzione, impulsività e iperattività motoria ma rende difficile anche l’adattamento sociale di bambini, adolescenti e adulti. Non solo: “I ritardi diagnostici, così come la totale mancanza di preparazione da parte della scuola, mi hanno reso la vita molto difficile”.

Anche Ilenia, considerata un po’ da tutti come quella anormale, aveva preso a un certo punto a crederci: “Se il mondo ti svaluta, poi ti svaluti pure tu. Quando, alla fine di un corso per animatore artistico, ho scelto di diplomarmi con una tesi sul disturbo da deficit di attenzione e iperattività, ho dovuto abbattere molti muri anche dentro me stessa per riuscire a parlarne con tranquillità e ad accettare”. 

Ilenia e Lorenzo
Ilenia e Lorenzo

Oggi Ilenia, che è in cerca di lavoro, è pienamente consapevole delle sue difficoltà ma anche di alcune strategie per evitarle o superarle: “So, per esempio, che se mangio troppi dolci rischio che gli scatti si facciano più frequenti. So che davanti ad attività molto complesse, ho bisogno di fare schemi, semplificare, organizzarmi bene. Sul linguaggio, invece, ho fatto passi da gigante, imparando con tanto esercizio fatto in solitaria a non mangiarmi le parole, rallentando e separando i suoni. E quando mi relazioni con gli altri, sento che essere Adhd non è più un peso”.

Presto Ilenia, in appoggio a un’associazione riminese, inizierà a tenere incontri informativi dedicati alla sua sindrome, perché “più se ne parla e meglio è”. Continua a non prendere medicine, come tra l’altro ha sempre fatto. E tiene gli occhi puntati sul mondo della scuola, che le sta parecchio a cuore: “Se fossi nata vent’anni dopo, la mia vita sarebbe cambiata di poco: per quanto le diagnosi siano più semplici e i medici più preparati, quello della scuola resta il grande vuoto. Alle elementari del mio paese, San Martino dei Mulini, non esiste ancora un software per aiutare i bambini come me. Sembra impossibile, nel 2017″.

Ilenia ha anche trovato conforto in un gruppo WhatsApp di ragazzi Adh, Bes e Dsa. E ha una nuova colonna portante: Lorenzo, il suo ragazzo, “la persona che amo e che mi aiuta nella gestione della sindrome”. 

Qui la storia del gruppo di genitori che, in Emilia-Romagna e in altre zone d’Italia, stanno combattendo una battaglia per il pieno riconoscimento del problema dei loro figli.

In questo articolo ci sono 4 commenti

Commenti:

  1. Anche io vivo una situazione difficile nella scuola x mio figlio lui e asberger e nn e facile x niente nn ce divulgazione del problema e nemmeno noi genitori A volte sappiamo cpme comportarci io mi leggo molti libri x ora solo questo strumento

  2. Grazie di aver scritto, parlato di adhd. Sono insegnante di scuola primaria ed esercito la libera professione come consulente pedagogica specializzata in didattica per alunni con adhd e DSA. Si parla e si fa purtroppo, ancora troppo poco per loro. Esistono strumenti ma soprattutto strategie didattiche che possono veramente cambiare in meglio… la vita di questi ragazzi. Spero che possano esserci in futuro altre di queste occasioni. Greta Penzo

  3. In Italia c’è ancora tanta ignoranza, anche da parte degli operatori sanitari. Ho avuto la stessa diagnosi a 33 anni dopo una vita non proprio piena di soddisfazioni. Non è semplice, specialmente quando si fatica anche a reperire i farmaci che aiutano a tenere sotto controllo il disturbo.

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