Francesco e la dislessia: “Quando un dettato era una catastrofe”

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Francesco Biagioni

Nei primi anni delle elementari, Francesco Biagioni era membro fisso del gruppo “bambini con problemini”, secondo la definizione della maestra che lo aveva creato. I dettati, per lui, erano una catastrofe. E la frustrazione di stare in classe e provare a dimostrare, senza risultati, che di voglia di imparare ne aveva eccome, era massima. Ventidue anni, pisano, studente del terzo anno di Psicologia clinica, Francesco è uno dei ragazzi del progetto “My story”, il “tour” dei giovani italiani con Dsa che stanno girando l’Italia per conto dell’Aid (Associazione italiana dislessia). E domani sarà a Ravenna all’Istituto “Ricci Muratori” (Piazza Ugo La Malfa 1) per raccontare la sua storia, sperando che la testimonianza diretta possa essere utile al maggior numero di persone possibile. L’appuntamento è alle 10 per le scuole e alle 15 per la cittadinanza, in concomitanza con la Settimana nazionale della dislessia.
Francesco, di quali disturbi specifici dell’apprendimento soffri?
“Sono dislessico e disortografico. Il che significa che leggo molto lentamente, anche se in modo corretto – al contrario di altri che leggono spediti ma male – e che faccio errori di ortografia. I più comuni, in genere, sono scordarsi le acca o non scrivere le doppie”.
Quando hai iniziato ad accorgertene?
“Subito alle elementari. Ben prima della legge 170 del 2010 che a quelli come me, almeno, ha dato un nome. Vedevo che facevo una fatica immane, sprecando energie, tempo e risorse, per stare al passo con gli altri. Fino alla terza elementare, quando ho cambiato scuola e ho trovato un’insegnante di italiano che ha capito che avevo un problema, è stato un disastro. Venivo considerato alla stregua degli scansafatiche, quando invece avevo un’estrema voglia di apprendere. La diagnosi, però, l’ho avuta sola in quarta ginnasio”.
Un passo in avanti?
“Nel mio caso no. Andando controcorrente, avevo deciso di iscrivermi al liceo classico, la tana dei lupi, e di affrontare quindi due materie molto difficili come greco e latino. Nella mia scuola sono stato il primo ad avere la diagnosi e questo mi faceva sentire già di per sé diverso. La mia fortuna è sempre stata la mia famiglia: mia mamma, che insegna inglese, è stata il mio primo strumento compensativo, accettando il mio problema, leggendo al posto mio e aiutandomi con la sua materia. Passavo i pomeriggi a fare almeno due ore di ripetizione di greco e latino, più il lavoro che mi imponevo a casa. Uno strazio, visto che i risultati non arrivavano”.
Come venivi aiutato, a scuola?
“Per i primi due anni di superiori, mi sono opposto agli strumenti compensativi. Uno di quelli che mi era stato proposto era di avere a disposizione il 30% di tempo in più, rispetto ai miei compagni, per finire le versioni di greco e latino. Il che significava dover seguire il prof nella classe in cui andava dopo la mia, stando seduto alla cattedra come in punizione a finire la verifica, mentre tutti mi guardavano. Un’umiliazione massima”.
Quando hai iniziato ad accettarli?
“Alla fine della seconda ginnasio. Avevo scoperto il vocabolario elettronico, che mi faceva perdere meno tempo. Qualche prof mi accorciava i compiti in classe scritti. E usufruivo delle interrogazioni programmate, che mi consentivano di organizzare meglio lo studio. Peccato che certi insegnanti mi vedessero come quello che voleva prendere delle scorciatoie. E, anche se durante l’orale facevo un’ottima figura, non mi davano comunque più di sei e mezzo o sette”.
E dai compagni, stesso atteggiamento?
“No, loro capivano. Alle medie, addirittura, una compagna mi correggeva il tema di italiano prima che lo consegnassi. Meglio un compagno amorevole che duemila strumenti compensativi, lo dico sempre”.
E oggi che sei all’Università?
“L’altro ieri ho preso un 28 all’esame scritto di Neuropsichiatria infantile, una bella soddisfazione. Sono in pari, conto di laurearmi a breve. L’ambiente universitario è diverso, entrare in classe con un computer è la normalità, non vieni visto come quello diverso”.
Quando porti la testimonianza ai Dsa e alle loro famiglie, qual è la domanda più ricorrente?
“Mi chiedono come si fa ad accettare gli strumenti compensativi. Dico sempre che è un lavoro lungo e impegnativo ma prima li si accettano, meglio è. Sennò frustrazione e bassa autostima mettono di certo i bastoni tra le ruote alla voglia di fare una bella carriera scolastica. Uno soluzione alla dislessia e agli altri disturbi collegati non c’è, non si guarisce. Ma in fondo mica è una malattia. Per me è un po’ come essere mancini”.

In questo articolo ci sono 3 commenti

Commenti:

  1. Sono Franco Botticelli, presidente nazionale dell’Associazione Italiana Dislessia, genitore di un ragazzo dislessico, ora ventisettenne.
    Leggo con piacere e commozione l’articolo e la testimonianza di Francesco e voglio esprimere pubblicamente il mio ringraziamento a Francesco e a tutti i ragazzi del My Story perchè con le loro parole, il loro vissuto, di sofferenza ma anche di chi ha saputo reagire trovando i punti di forza che si traggono da una difficoltà, danno un grande incoraggiamento a chi scopre di avere un Disturbo Specifico di Aoprendimento e inizia il suo percorso di vita con la consapevolezza, grazie a ragazzi come Francesco, di avere pari opportunità e di poter raggiungere gli obiettivi come tutti gli altri ragazzi.
    Un grande ringraziamento anche a voi della stampa per la corretta informazione che è la base per contribuire ad eliminare discriminazioni.
    Ancora un grazie di cuore a nome dei dislessici e delle famiglie che rappresento.
    Franco Botticelli

  2. Ho letto la tua storia ho una bambina con problemi dell apprendimento tanti vorrei sapere se c’è la possibilità che tu venga a Genova mi farebbe piacere poter riuscire a fissare un incontro nella ns scuola grazie

    1. Cara Lisa,
      per conoscere le date del tour “My story” al quale partecipa anche Francesco, può contattare l’Associazione italiana dislessia che lo organizza. Questo il numero della sede nazionale 051 24 29 19

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