L’animaletto, l’amputazione, il sitting volley: la rinascita di Federico Blanc

Federico Blanc con la moglie e i due figli
Federico Blanc con la moglie e i due figli

Per Biajo, 11 anni e per il fratellino Fabio, otto, il batterio che per molto tempo non ha dato tregua al papà si chiama “animaletto”. Per Federico Blanc, invece, il nome medico, Pseudomonas aeruginosa, è già troppo complicato per pensare a un soprannome. Trentanove anni, originario di Pinerolo (Torino) e ingegnere della Cmc, Federico nell’agosto del 2007, dopo anni di lavoro nei cantieri di mezzo mondo, si rompe entrambe le gambe su una diga in Swaziland, mentre fa parapendio, sport per il quale stava per ottenere il brevetto. E in sala operatoria prende un’infezione da batterio multiresistente che lo porta, cinque anni dopo, alla decisione di amputare la gamba destra: una scelta sconsigliata dai medici italiani e caldeggiata, invece, in Sudafrica. Una scelta alla quale Federico racconta di essere arrivato con gradualità e consapevolezza, dopo aver visitato centri protesici e conosciuto persone amputate. Oggi Federico vive a Ravenna, ha una protesi ed è diventato un nome nel sitting volley, la pallavolo paralimpica.
Federico, molti le chiederanno come fa ad avere sorrisi ed energie dopo quel che le è successo…
“Mia mamma mi racconta che sono sempre stato iperattivo. Non a caso ho preso la seconda laurea in Architettura dopo l’incidente. Io rispondo sempre che a grandi poteri, corrispondono grandi responsabilità. Mi rendo spesso conto di essere descritto come un esempio per altri: ecco, io mi sento di essere diventato un po’ un supereroe, uno che dopo l’amputazione e quindi la disabilità, ha capito molti aspetti della vita e l’ordine delle priorità, i motivi per cui vale la pena arrabbiarsi e quelli per cui ha senso darsi da fare”.
Sua moglie Emmy, conosciuta in Kenya, l’ha supportata nella decisione di amputare la gamba?
“Lei mi ha sempre dato forza e coraggio, facendomi capire che se quella scelta avrebbe fatto star bene me, allora andava fatta. Dopo nove mesi dall’incidente, quando sono rientrato al lavoro, avevo ginocchio e caviglia destri bloccati. Dal ginocchio in su, poi, non avevo sensibilità. Non solo: ogni due o tre mesi il batterio si ripresentava, causandomi fistole fastidiose e profonde, per le quali non esisteva cura. Dovevo rientrare in sala operatoria per la pulizia chirurgica ma non si risolveva mai nulla: sono stato sottoposto a trenta operazioni. La sera mi chiudevo in camera con i guanti sterili a medicarmi: un calvario incredibile. Per muovermi usavo un tutore subito dopo gli interventi, poi stampelle e bastone. Fino a che, a Singapore, mi è venuta la febbre alta e sono rimasto ricoverato una settimana. Dopo poco, idem: sono rientrato in Italia dal medico che mi aveva seguito al ‘Rizzoli’ per dirgli che volevo procedere all’amputazione. Ero davvero esausto”.
Federico Blanc in campoI suoi figli, invece, come l’hanno presa?
“Credo con naturalezza. Io e mia moglie siamo stati bravi a presentare il problema favoleggiando un po’. Prima dell’amputazione, un giorno uno dei miei figli è tornato a casa dall’asilo con un disegno della nostra famiglia: io ero in piedi, con entrambe le gambe e le stampelle. Ho capito che per lui quella era la normalità e che, allo stesso modo, avrei potuto fargli vivere con grande spontaneità l’amputazione. Ai bambini io ed Emmy, prima dell’intervento, abbiamo sempre descritto la protesti come la ‘gamba robot’”.
C’è stata una persona che l’ha condotta per mano?
“C’è stato un incontro virtuale molto importante con Roberto Bruzzone, autore di grandi scalate e avventure con una gamba sola. Dopo aver commentato le sue imprese su Facebook o sul suo sito, mi ha contattato per chiedermi se volevo scrivere le didascalie a un album fotografico che voleva preparare su un suo viaggio nelle Ande, perché gli piaceva il mio modo di scrivere. Alla fine, ragionandoci insieme, è nato il libro ‘Limiti. Cronaca riflessa di un viaggio gamba in spalla’ che è concluso ed è al momento a caccia di un editore. La sua forza di volontà e determinazione mi hanno senz’altro contagiato: non mi sono scoraggiato neanche quando, al risveglio dopo l’amputazione, ho saputo che il batterio non mi aveva abbandonato. Ci sono voluti altri tre mesi per debellarlo”.

Papà Federico con Biajo e Fabio
Papà Federico con Biajo e Fabio

E l’incontro con la pallavolo, come è avvenuto?
“Per puro caso, sono stato contattato dal Volley Club Cesena, che voleva mettere su una squadra di sitting volley: uno sport di cui si parla ancora poco. Le regole sono le stesse della pallavolo, il campo è solo un po’ più piccolo e la rete più bassa. Quest’anno abbiamo vinto il campionato Emilia-Romagna, battendo inaspettatamente i campioni uscenti di Parma. Abbiamo appena vinto il campionato nazionale delle Acli e ci stiamo allenando con la rappresentanza regionale, composta interamente da disabili, in vista del campionato italiano tra rappresentanze regionali in programma il 9 e 10 luglio. Quando, dai cantieri, sono passato a lavorare in ufficio, mi sono reso conto di avere molto più tempo libero rispetto a prima. Non potevo certo lasciare la scrivania e andare a casa a sedermi sul divano”.

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