Giacomo, quante volte Giovanni e la sindrome di Down vengono sovrapposti, come se fossero una cosa sola?
“Molte. Così come sono tante le volte in cui sento dire che le persone Down sono tenere: Giò, se non ti conosce, è benissimo capace di tirarti un pugno in faccia. Spero, con il mio libro, di spostare questo tipo di argomentazioni, anche se non voglio darmi alcuno scopo pedagogico: sta a ognuno di noi, in fin dei conti, decidere se è vantaggioso o no abbandonare le categorie facili, quelle che pensiamo ci aiutino a comprendere le cose. Si può vivere benissimo anche senza la totale comprensione del diverso. Io dico che avere Giò come fratello è un’esperienza pazzesca e se riesco, grazie alla mia storia, a far cambiare lo sguardo anche solo di una persona, mi ritengo soddisfatto”.
La sindrome di Down, nel libro, è citata poche volte. Che cosa ti interessava raccontare, di più?
“Il fatto che ognuno di noi ha una storia incredibile anche se non ha rapinato una banca. Che le particolarità delle persone sono infinite, anche in Giò. Che io lo invidio da morire perché è libero e felice così, senza i valori della competizione e del successo, con l’incoscienza a mille. Per lui, incontrare un barbone o un personaggio famoso è esattamente la stessa cosa. Assurdo come possa odiare e amare senza filtri, prendersi gioco degli altri, non farsi alcun tipo di problema se va incontro a una figuraccia”.
Descrivi una scena fortissima successa al supermercato, quando Giò inizia a caricare un carrello di vasetti di Nutella, svuotando gli scaffali. Un momento in cui, dopo l’imbarazzo iniziale, hai scelto di fregartene. Capita spesso?
“Succede, sì. E lì devi decidere che cosa vuoi essere. Se cominci a pensare che non ti conosce nessuno, e anche se qualcuno ti conosce poco importa, prendi le distanze e vivi esattamente alla maniera di Giò, tralasciando per un attimo remore e limiti”.
Un fratello dai poteri speciali: così te lo sei immaginato quando i tuoi genitori hanno annunciato a te e alle tue due sorelle il suo arrivo. Si è rivelato davvero un supereroe come credevi, Giovanni?
“Assolutamente sì. Un po’ perché i maschi erano in minoranza in famiglia, un po’ perché a sei anni ero nella fase Pokemon della vita, sapevo già che Giovanni sarebbe stato speciale. Oggi dormiamo nella stessa stanza, abbiamo voce in capitolo quando le donne di casa vogliono fare shopping e noi no. E ho superato il fastidio che provavo ogni volta che sentivo dire che mio fratello è scemo. Certi commenti non mi smuovono più: noi esseri umani siamo così pieni di difetti, attaccabili e vulnerabili che, davvero, potrei in un attimo girarmi e prendere anche in giro la persona che sta parlando”.
E le preoccupazioni per il suo futuro, ti attanagliano ancora?
“Non più. Non so nemmeno cosa sarà il mio, a parte che nei prossimi mesi andrò a Roma per scrivere e girare il film tratto dal libro. Con il tempo sarà Giò, come sempre, a farmi capire tutto”.
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