Il giorno in cui per la prima volta si è presentata dalla terapeuta, Valentina Colmi si è messa il “vestito buono” come per tutti gli appuntamenti speciali. E la scena di lei che si sistema di tutto punto prima di iniziare a raccontare la sua disperazione di neo-mamma è di certo tra le più tenere del nuovissimo e-book “Out of the blue. Rinascere mamma” (Lazy Book). La stessa tenerezza, l’autrice del celebre blog post-partum.it la mette quando racconta di dover ringraziare la sua “malattia” perché l’ha fatta crescere e diventare matura. Portandola ad affrontare la seconda esperienza di maternità dopo non molto tempo dalla prima. Le sue bambine, Paola di tre anni e Vittoria (il nome non è a caso) di uno, sono quasi figlie di due vite diverse sebbene vicine, separate da un cambiamento che Valentina è convinta non sarebbe mai riuscita a compiere senza l’aiuto della sua psicologa.
Valentina, hai avvertito un senso di estraneità rispetto a Paola subito dopo la sua nascita. Avevi capito già in ospedale a quale sofferenza saresti andata incontro?
“Ho avuto un travaglio e un parto cesareo molto traumatici e scioccanti. Ma pensavo che quella tristezza e quella voglia di tornare alla mia vita di prima sarebbero state passeggere: il classico baby blues, insomma. Ma il senso di inadeguatezza, la disperazione, il poco interesse per la bambina sono durati ben oltre le prime settimane. E ai tre mesi di Paola, ho capito che avevo bisogno di aiuto”.
Stare vicino a una neo-mamma triste e depressa non è facile. Tuo marito Francesco che ruolo ha avuto?
“Credo di essermi salvata principalmente grazie a lui. Lui che è sempre rimasto equilibrato, lui che mi spronava ad alzarmi dal letto la mattina anche quando non avevo la forza per farlo. Non mi ha mai dipinta come la madre terribile che sentivo di essere. E mi ha sempre protetta da quelli che mi invitavano a essere felice e forte, perché essere diventata mamma era la miglior cosa al mondo. Quando ho iniziato la psicoterapia, che si è conclusa ufficialmente all’inizio di maggio di quest’anno, credo abbia avvertito un senso di liberazione: in alcuni momenti, davvero, non aveva saputo che pesci pigliare”.
Nel libro “denunci” l’assenza, durante i corsi di preparazione alla nascita, di un racconto reale del puerperio, dei chiaroscuri che tutte vivono, del lato emotivo che è importante quanto quello fisico: che ricordi hai del “tuo” percorso pre-parto?
“Avevo preso per buono tutto quello che mi era stato detto: le parole dell’ostetrica come fossero il Vangelo. Mi sono fidata quando ho sentito il racconto del parto come momento in cui la donna diventa una divinità incarnata. E sono arrivata alla nascita di Paola impregnata di sovrastrutture che consideravo ovvie dentro di me. Salvo accorgermi che non sapevo assolutamente nulla, che avevo enormi difficoltà a incastrare la mia nuova identità di madre con la vita di tutti i giorni”.
Te la sei spiegata, con il tempo, la tua depressione post-parto?
“No, così come non mi sono ancora perdonata, forse. Ci sono momenti in cui il senso di colpa è latente, soprattutto perché con Paola non mi sono comportata come con sua sorella. Mi consola, però, il fatto di aver fatto subito di tutto per essere la madre migliore per lei, chiedendo aiuto. Alla fine dei conti, la malattia è stata una benedizione: mi ha resa più consapevole, più fiduciosa in me stessa. E tutte le volte che mi chiedo perché sia successo proprio a me, mi dico che è un bene che sia stato così: senza, sarei rimasta immatura e ancora figlia, incapace di curarmi anche degli altri, oltre che di me stessa”.
Dopo la depressione avuta con la mia prima figlia, non ti spaventava l’idea che ti potesse accadere di nuovo con la seconda?
“A dire il vero no. Sapevo a che cosa andavo incontro, sapevo che post-parto avrei voluto avere. Ed ero del tutto conscia che se avessi provato sentimenti ambivalenti verso Vittoria, li avrei dovuti accogliere per costruirci sopra il rapporto più sano possibile con lei. Ho di nuovo subito un cesareo in anestesia totale ma, per esempio, sono arrivata al parto con la convinzione di non voler allattare, visto che con Paola le mie difficoltà nel farlo mi avevano portata a essere insultata, umiliata e colpevolizzata”.
Vittoria, paradossalmente, è una bimba molto più impegnativa di Paola. Con la depressione post-parto, per la tua esperienza, non c’entra nulla il famoso “bambino difficile”?
“Nel mio caso no. Paola era buonissima, mangiava e dormiva. Se fosse stata come Vittoria, forse sarei andata del tutto fuori di testa. Il problema non era lei, il problema era dentro di me. E mi sono sempre raccontata la favola che era così tranquilla perché aveva avvertito che qualcosa in me non andava. E non voleva darmi ulteriori preoccupazioni”.
Tu hai avuto il coraggio di esporti, prima con il blog e ora con il libro, smontando un tabù duro a morire. E le altre mamme?
“Moltissime mi scrivono per testimoniarmi il loro disagio. C’è tanta vergogna, c’è la propensione a fingere che tutto va bene. Poche, però, sanno che il supporto psicologico a volte è gratuito, come lo è stato anche per me all’ospedale Niguarda di Milano. Purtroppo non è così diffuso e i servizi dedicati alle neo-mamme sono ancora pochi. Mi batto anche per questo. Tutto deve cambiare”.
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