Il comico Giacobazzi svela il suo privato in un libro: “Mia figlia? Una botta di c…”

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L’avevamo incontrato quando sua figlia Arianna, di pochi mesi, già dormiva tutta la notte e lui, nella piena estasi della paternità a cinquant’anni, trovava divertente pure il momento del biberon. Ora Arianna, che ha compiuto tre anni in marzo, continua a dormire di sasso tutta notte (“che fatica, svegliarla”) e a tavola predilige la cucina romagnola: “Dai cappelletti ai tortelli passando per i passatelli, senza contare che lei è della scuola secondo cui del maiale non si butta via niente: da qui la sua passione per mortadella, coppa, salame e persino porchetta”. Giuseppe Giacobazzi, il comico di Alfonsine che non ha mai avuto problemi a svelare come sua figlia sia nata grazie alla procreazione medicalmente assistita, è ora in libreria con “Un po’ di me”, scritto a quattro mani con Carlo Negri per Sperling & Kupfer. Un libro che già dal titolo riprende il suo ultimo spettacolo, quello che l’ha portato a interrogarsi su come fare ridere toccando un tema scottante e avvolto dai tabù: quello, appunto, della Pma. Una sfida che il comico considera vinta, visto soprattutto il riscontro del pubblico.
Giacobazzi, un uomo che parla della ricerca di un figlio, toccando un tema dove le ideologie e il senso di vergogna, il più delle volte, fanno da padroni. Operazione difficile?
“Il pezzo sulla fecondazione assistita chiude, di fatto, lo spettacolo ‘Un po’ di me”, il cui tour si è concluso sabato scorso. L’ultimo pezzo riguarda proprio la fecondazione assistita. Eppure è stata la prima parte che ho buttato giù quando ho iniziato a scrivere nel periodo dopo ‘Apocalypse’. Mia moglie non era ancora incinta ed ero pieno di rabbia per tutte le delusioni che avevamo vissuto nel percorso per riuscire ad avere Arianna e per tutti i pregiudizi che ruotano intorno al fatto di non avere un figlio naturalmente. Il pezzo era molto crudo, forse troppo. Alla prima, a San Giovanni in Persiceto, la serata è stata angosciante. E così, insieme al mio co-autore Carlo Negri, abbiamo deciso di edulcorare un po’ il tutto, anche perché non potevamo perdere di vista l’obiettivo di far ridere la gente. Poi, quando mia moglie è rimasta incinta, è stato ancora più semplice addolcirlo”.
Quali commenti ha ricevuto, per lo più?
“A parte le critiche di alcuni esponenti cattolici integralisti, che mi hanno fatto notare come un figlio sia un dono di Dio e non una botta di culo, come scrivo nel libro, le manifestazioni di affetto, gratitudine, complicità ed empatia sono state le più disparate. Sono centinaia i messaggi che mi arrivano in privato su Facebook, anche per sapere il nome della clinica spagnola grazie alla quale io e mia moglie, di fatto, siamo diventati genitori. Senza contare le donne che si sono presentate in camerino per raccontarmi le loro storie. Due anni fa, a Varese, una ragazza si mise a piangere davanti a me, mentre mi spiegava che stava affrontando la Fivet. Quest’anno è tornata a trovarmi: è mamma di un bambino”.
Le è costato molto il mettersi così a nudo, lei così innamorato della sua vita privata?
“No. Dopo tanti anni di lavoro, ho sentito che avevo la maturità giusta per farlo. La gente che ti segue pensa che tu faccia una vita straordinaria, che tu sia un extraterrestre. Pensano che questo mestiere sia bellissimo e basta. Mi interessava raccontare un po’ della mia normalità”.
giacobazzi_giuseppe“La fatica di essere felici” è il titolo del capitolo, l’ultimo, dedicato all’arrivo di sua figlia. Lei ce l’ha, in fin dei conti, una definizione di felicità?
“Credo che essere felici significhi essere sereni, con qualche momento più alto e più pieno ogni tanto. Se tutto fosse felicità, non la sapremmo riconoscere e distinguere. Aggiungerei alla ricetta qualche raro problemino: risolvibile, però”.
Adesso che ‘Un po’ di me?’ è alle spalle, a che cosa si dedicherà?
“Ora voglio un po’ di relax e un po’ di tempo per pensare alla scrittura. Ho in programma qualche serata estiva, compresa una presentazione del libro a Marina Romea il 12 luglio. Per il resto, mi godo Arianna: in settembre comincerà a frequentare la scuola dell’infanzia e non passerà più la mattinata a prendere a pedate sua madre o a giocare a far finta che io ero lei e lei era me, così da potermi sgridare come e quando crede”.
Lei è severo, come padre? Si dice che chi diventa genitore tardi è più “morbido”…
“Io e mia moglie ci sforziamo di dire più no che sì, come del resto ci sforziamo di sembrare giovani e atletici giocando alla lotta o al ‘vola vola’. A volte bisogna essere inflessibili. Ma non nascondo che, spesso, mi ci costringo”.
La nonna, ovvero sua madre, è sempre indaffarata a fotografare la nipote come tre anni fa?
“Sempre di più. La missione quotidiana è scaricare le foto dal suo cellulare per salvarle nella memoria esterna. Arianna la manda in brodo di giuggiole. Quando la sgridiamo, si gira dall’altra parte”.
Con il senno di poi, si sarebbe fermato dopo i primi tentativi di averla?
“Assolutamente sì, non sopportavo vedere soffrire così tanto, a livello sia fisico che psicologico, mia moglie. La dura è stata lei. Senza la sua perseveranza, forse, non saremmo qui con Arianna”.
Lo sa, sua figlia, che mestiere è il suo?
“Pensa che io faccia il cantante. All’ultima replica al teatro Duse di Bologna, mentre tutti ridevano e piangevano al tempo stesso, è sfuggita al controllo della sorveglianza ed è arrivata sul palco. Le spiegherò bene, più avanti, che lavoro faccio. Non voglio correre il rischio dell’amico che mi accompagna sempre nelle trasferte: sua figlia, in un tema a scuola, ha scritto che suo padre di notte se ne va in giro con un amico. Equivoco, no?”.

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