inbeccoDopo la pubblicazione del libro “Le difettose”, l’attrice forlivese Eleonora Mazzoni è diventata un punto di riferimento in materia di fecondazione assistita. E i capitoli del suo ultimo libro “In becco alla cicogna!” (Biglia Blu) partono proprio dalle lettere e dai messaggi che ha ricevuto negli anni dalle tante donne alle prese con la ricerca di un figlio. Parole che l’hanno spinta ad addentrarsi ancora una volta nella materia, questa volta senza romanzare nulla ma con una guida poco tecnica e molto a contatto, invece, con le domande e i dubbi che, sulla questione, hanno sia le coppie che stanno per affacciarsi ai centri di Pma che i profani, sospesi magari tra giudizio e scarsa conoscenza in merito.
Eleonora, consiglierebbe di farsi un giro nei reparti di fecondazione assistita prima di emettere sentenze?
“Più che un giro, consiglierei di restarci a lungo. Il tema è talmente complesso da richiedere tempo: per entrare in relazione con le coppie, cogliere la diversità delle loro storie. A me si è aperta la testa nel frequentare quegli ambienti: la maternità e la paternità sono molto più sfaccettate di quanto siamo abituati a pensare”.
Fecondazione “artificiale”. Perché fa così tanta paura questo aggettivo? 
“Io continuo a usare l’aggettivo artificiale, che etimologicamente significa fatto con arte. Nessuno ci pensa ma è una parola che richiama quello che l’uomo fa per correggere i difetti della natura: in questo senso la trovo meravigliosa. Ai convegni a cui partecipo, a volte mi fanno notare come oggi sia più giusto usare la parola ‘assistita’. Ma io rivendico il termine ‘artificiale’, che testimonia come senza l’intervento umano, saremmo ancora alle caverne”.
Desiderare un figlio: che sia un diritto o no averlo, possiamo almeno vederci garantito quello di poterlo cercare come vogliamo?
“Assolutamente sì, non c’è niente di male a voler utilizzare quello che la scienza e la medicina ci mettono a disposizione. Credo che le persone che sentono il desiderio di un figlio abbiamo il diritto di provare ad averlo come credono. Il figlio, poi, non ce lo garantisce nessuno. Ma questo è un altro discorso. Nessuno dovrebbe mettere il naso nella complessa materia del sogno di un figlio. Penso alle coppie omosessuali: il 90 percento di quelle che conoscono mi raccontano che ricorrerebbero all’adozione, se solo si potesse. Ci dà giudizi netti sulla gestazione per altri dovrebbe tenerlo in considerazione”.
Eleonora Mazzoni
Eleonora Mazzoni

Mesi e mesi dedicati allo “scopo di procreare”, il medico che entra, di fatto, in camera da letto. I contraccolpi della Pma sulla coppia andrebbero in qualche modo “prevenuti”?
“Sì, se non altro parlandone apertamente e confrontandosi con chi vive o ha vissuto la stessa esperienza. C’è ancora tanta vergogna nell’ammettere e raccontare che si è diventati genitori o si è provato a esserlo attraverso la Pma. Se certe questioni legate alla relazione sessuale e affettiva le si potessero elaborare con più apertura e condivisione, credo risulterebbero più lievi”.

Alle aziende e ai datori di lavoro fa comodo far credere alle donne che potranno diventare mamme non appena lo vorranno: crede sia necessaria una “sensibilizzazione” in tal senso?
“Ne sono convinta. In Italia siamo indietro, come al solito. Ma i centri di Pma, così come il ministero della Salute, stanno ragionando intorno all’idea di fare prevenzione già nelle scuole: la conservazione della propria fertilità, viste anche le previsioni nere su una diminuzione di quella maschile nei prossimi cinquant’anni, è sempre più centrale. Devono smettere di far credere, soprattutto alle donne, che con la bacchetta magica potranno diventare mamme quando lo vorranno, perché questa idea le porta a rimandare sempre di più la ricerca di una gravidanza”.
La diffusione della Pma rischia di togliere umanità nel modo in cui ginecologi e sanitari la gestiscono e la trattano?
“Credo sia un pericolo reale. Io stessa ho trovato medici algidi e distanti. Quando li incontro ai congressi, sono sempre molto attratti da quello che dico: non conoscono affatto la parte emotiva e psicologica della faccenda. Forse perché, dovendo molto spesso comunicare un fallimento, diventano freddi e troppo tecnici”.
Carlo Flamigni, pioniere della Pma, ha scritto la postfazione del libro: uno dei problemi che denuncia è il mancato ascolto delle coppie. Lei è d’accordo?
“Del tutto. Cercare un contatto umano con le coppie mette troppo in gioco i medici. Ma è più che mai necessario, da parte loro, tornare a usare le parole. Quelle giuste”.