A Carla Baroncelli non piace la parola “minore” riferita a un bambino. E anche la locuzione “violenza assistita”, secondo lei, è riduttiva. Perché se l’uomo di tua madre la picchia, tu non stai assistendo a quello scempio: lo stai vivendo, facendo tuo. Lo stai, anche se non vuoi, inglobando dentro di te. E quel dolore rimane lì, tra la carne e l’anima, a rovinarti per sempre la vita. A meno che tu non lo sappia tirare fuori ed elaborare, magari grazie alla scrittura. Proprio come è successo a lei, giornalista e cronista della Rai fino al 2008.
“Non importa se questa storia si riferisce a me da piccola o a un’altra bambina”. Dice così mentre sorseggia il caffè e accarezza “Storie sui fili” (agenzia Image), un “libro-strumento”, come lo definisce lei, e non un “libro-scaffale”: “Vedi? L’ho protetto con una copertina trasparente. Per farne buon uso, per non rovinarlo”. Sì, perché tra quelle pagine c’è un’educazione sentimentale: l’unica purtroppo possibile tra quelle mura domestiche che vedono (loro sì, che li vedono soltanto) botte e insulti, lividi e grida fortissime. Quelle mura attraverso le quali la madre della bambina non sa aprire una breccia, ingabbiata com’è nella ragnatela che la avvolge da un lato -nell’illusione dell’amore – e la incastra dall’altro.
Ragnatele che Carla Baroncelli ha fotografato per due anni, tanto le evocavano storie di trappole, prede, trame, tresche, prigionie. Ragnatele attuali, più che mai attuali: “Si potrebbe pensare che la violenza sulle donne sia un problema d’altri tempi. Che oggi ci sono fior fiore di psicologi e assistenti sociali ad arginarla. Invece no: l’impotenza che circonda quel mondo è fortissima. Ogni volta che ho esultato per le leggi approvate, come quella sulla violenza sulle donne e quella sullo stalking – oggetto di mie durissime battaglie personali – mi sono dovuta fermare di lì a poco: per constatare che se vinci la legge, non significa che hai vinto la violenza all’interno delle case e delle famiglie”.
Ogni volta che sente parlare di femminicidio (una parola che Carla Baroncelli ha di fatto coniato in tv), la sua mente va al bambino che, prima dell’omicidio, chissà quali oscenità ha dovuto subire: “Il bambino non ha strumenti adeguati per denunciare, non prende nemmeno coscienza di quanto sia grave ciò che gli sta succedendo. E da grande, chissà come tirerà fuori tutto quello che ha incamerato. Magari lo rivolterà verso se stesso, colpevolizzandosi e vivendo depresso. O forse la scaricherà sugli altri, diventando a sua volta violento. Solo se avrà fortuna o chance trasformerà quell’energia positiva in un servizio agli altri”.
Ed è proprio il caso di “Storie sui fili”. Da una storia scritta quindici anni fa su carta assorbente e custodita in una scatolina a un progetto di prevenzione che, insieme alle associazioni Linea Rosa (a cui vanno i diritti di vendita del testo) e Dalla parte dei minori, coinvolgerà insegnanti, studenti e attori (tra cui Eugenio Sideri) per organizzare laboratori e performance teatrali. Lo scopo principale è “fare uscire dai giovani la sofferenza prima che sia troppo tardi”. Chi acquisterà il libro metterà una goccia nel mare del progetto.
“Questo libro è la mia denuncia, 56 anni dopo i fatti. Che riguardi o non riguardi me, poco importa. Del problema della violenza assistita bisogna parlare, parlare, parlare. E poi denunciare, prima che sia troppo tardi”.
Qui la pagina Facebook di “Storie sui fili”
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Commenti:
Grazie Silvia cara, hai centrato in pieno il senso del mio pensiero. Il progetto che ha preso avvio coinvolge Linea Rosa, L’associazione dei minori, Cinzia Sintini psicologa della Facoltà di psicologia di Bologna sul trauma, il comune di ravenna… il libro ha il patrocinio dell’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza, Unicef Italia e la prefazione del Prof Luigi Cancrini. Gocce, gocce come se piovesse….. grazie per la tua. Carla
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