
“Giovanni è così, noi lo amiamo per quello che è”. Pasquale Manguso è il papà di un bimbo di quasi sei anni con un disturbo dello spettro autistico. Lunedì pomeriggio al bagno Hookipa di Marina Ravenna è riuscito a organizzare – insieme alla psicologa del Centro autismo di Ravenna Alessandra Annibali, alla logopedista Caterina Caini e alla psicologa privata Elena Del Gaudio – un laboratorio dedicato ai più piccoli, per raccontare le difficoltà di suo figlio, spiegare ai suoi coetanei come meglio approcciarlo, rispondere alle loro domande e curiosità.
Pasquale, come reagiscono in genere i bambini quando capiscono che Giovanni ha un problema?
“Può sembrare paradossale ma con i bambini è più semplice che con gli adulti. I bambini fanno mille domande, hanno una marcia in più. Vogliono capire, per esempio, perché Giovanni non parla come loro, perché fa fatica a giocare con gli altri e a interessarsi alle cose. Con i grandi tutta un’altra storia: sono pane quotidiano gli episodi spiacevoli. Qualche giorno fa eravamo in un bar in centro a Ravenna: mio figlio ha avuto una crisi di venti secondi, ha iniziato a urlare perché voleva prendere una cosa che io e mia moglie gli abbiamo negato. Un signore si è avvicinato, chiedendo di farla finita. L’istinto mi avrebbe detto di insultarlo. Ma ho mantenuto la calma e gli ho spiegato che eravamo in un luogo pubblico e che se quella situazione non gli stava bene poteva uscire. Non possiamo certo spiegare al mondo, ogni volta, che Giovanni è autistico. Meglio fregarsene e lasciarsi scivolare addosso le cose: dobbiamo concentrarci su di lui”.
Dove la trova tutta questa positività?
“Sono ottimista di carattere e per fortuna trascino anche mia moglie. Non nascondo le difficoltà: con Giovanni anche solo una passeggiata in centro è un lavoro. Ma sono animato sempre dall’obiettivo di far vivere a mio figlio una vita il più possibile simile alla nostra: non punto a chissà quale apprendimento, voglio solo che lui si senta come gli altri, che abbia le stesse opportunità”.
Spesso le famiglie che vivono il problema della disabilità tendono a isolarsi. Voi?
“Noi facciamo tutto, abbiamo sempre fatto tutto. Andiamo al mare, a Mirabilandia, in vacanza: stiamo organizzando un viaggio a Londra per settembre. E passeremo il Natale a Vienna. Chiaro, va tutto organizzato nei minimi dettagli, va tutto spiegato a Giovanni, che va preparato ogni volta che va incontro a un cambiamento. Ma ci siamo abituati: non vogliamo privarci di nulla”.
Oggi, in riferimento all’autismo, si parla dell’importanza di diagnosi sempre più precoci: qual è la vostra esperienza?
“Noi abbiamo iniziato a notare che qualcosa non andava quando Giovanni aveva circa 14 mesi: era poco interessato alle cose. All’inizio si pensava alla sordità, che poi è stata esclusa. Poi a un disturbo pervasivo dello sviluppo. I medici non si sono sbilanciati prima dei due anni. Da allora, abbiamo messo in campo una serie di strategie per riuscire a gestirlo in ogni situazione: come molti bimbi con autismo, Giovanni è abitudinario e ha bisogno di punti di riferimento, dobbiamo sempre fargli capire le attività che scandiranno la sua giornata”.
Le era mai capitato di organizzare giochi e laboratori con suo figlio e altri bambini, come lunedì?
“No, è stata la prima volta. Mi sono fatto portavoce della problematica che vivo nel quotidiano con mio figlio. C’erano oltre dieci bambini all’attività: abbiamo cercato di coinvolgere anche Giovanni. E fare capire che condividere e aspettare il proprio turno – azioni che paiono scontate – sono una cosa importante per tutti”.
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