Dopo la morte del figlio per droga, il messaggio di Gianpietro: “Ragazzi, scegliete la vita”

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Emanuele Ghidini, morto a 16 anni dopo aver assunto droga

“I sensi di colpa sono grandi come case. Ma non mi servono a niente. Inutile piangersi addosso e lasciarsi andare. Io ed Emanuele abbiamo una missione: aiutare i giovani. A quella devo pensare”. Quando Gianpietro Ghidini ha letto la notizia della morte di Lamberto Lucaccioni, il 16enne morto al Cocoricò di Riccione dopo aver assunto dosi massicce di ecstasy, la mente è andata a quel tragico 24 novembre del 2013, quando suo figlio, della stessa età, dopo una festa con alcuni amici maggiorenni durante la quale aveva fatto uso di droghe sintetiche, si buttò nel fiume. La sua reazione di papà trafitto dal dolore è stata, allora, immediata: dopo meno di un mese aveva già dato vita alla Fondazione Pesciolino Rosso che gira l’Italia per scuole e oratori a dire a ragazzi e ragazze che le dipendenze bruciano l’anima ancor prima del corpo. Un messaggio che Gianpietro porterà tra Riccione e Misano per tutto il mese di agosto (qui il programma del tour).

Domani è una giornata importante. Esce infatti il terzo libro nato all’interno del progetto: si intitola “Hope” ed è l’esito di un romanzo che Gianpietro aveva iniziato in tempi non sospetti con Emanuele. Un lavoro che arriva dopo “Lasciami volare”, che dalla storia del 16enne di Brescia si sviluppa in una serie di dialoghi genitori-figli (curati da Marcello Riccioni) senza dimenticare informazioni utili sui danni delle droghe (scritti da Matteo Merigo); e dopo “Alle porte del cielo”, una raccolta di pensieri, poesie, post, aforismi.

“Perdere un figlio è un dolore inimmaginabile, il dolore più grande e insopportabile – racconta Gianpietro – e quando ti colpisce, hai due possibilità: riempire il vuoto con la rabbia, l’odio e morire piano piano oppure donarti agli altri, trasformare la perdita in gioia. Nei primi giorni dopo la morte di Emanuele ho sfiorato la pazzia ma poi mio figlio mi è apparso in sogno: lì ho capito che avrei dovuto portare avanti un sogno”. Che si realizza ogni volta che un giovane gli scrive per dirgli che le droghe no, meglio lasciarle lì dove sono. Perché la vita è molto meglio.

Sono tante le domande che si sente rivolgere Gianpietro. Ed è per i genitori che la riposta non arriva mai facile: “Non sono in grado di dire quello che bisogna fare, posso dire quello che non bisogna fare: non bisogna smettere mai di essere dei punti di riferimento per i nostri figli, non bisogna abbandonare la coerenza, non bisogna rinunciare a trasmettere dei valori. Se a tavola beviamo due bottiglie di vino, come possiamo pretendere di impedire loro di farsi due canne?”. Gianpietro sapeva che Emanuele, un paio di volte, aveva fatto uso di sostanze stupefacenti. Ma non avrebbe mai messo in conto una fine così: “A breve inizierà il processo a carico del sospetto spacciatore, un ragazzo di 21 anni. I giovani mi chiedono se vorrei vederlo condannato, magari in galera. Io rispondo di no, non ho rancore, non provo odio. Preferirei incontrarlo, aiutarlo a stare lontano da quel mondo, invito che più volte gli ho rivolto”.

Gianpietro era andato via da casa da un anno, quando Emanuele è morto: “Avevo lasciato mia moglie e i miei tre figli immaginando di trovare fuori quello che in realtà già avevo”. Alessandra e Giulia, oggi 25 e 17 anni, sono le ancore di salvataggio per restare a galla: “Un po’ le sto trascurando per portare avanti la mia missione, alla quale mi dedico quasi in pieno. Sperando che loro, come gli altri loro coetanei, capiscano”.

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