Papi Gump a piedi fino a Bruxelles, passando per la Romagna: “Per il diritto a entrambi i genitori”

Antonio Borromeo
Antonio Borromeo

Questa volta arriverà fino a Bruxelles. A piedi, sì. Partendo da Vasto, dove vive. E facendo tappa anche in Romagna: a Rimini il 29 aprile e a Forlì il giorno dopo. Antonio Borromeo, o “Papi Gump” come una volta è stato definito da un operatore tv, non ama entrare nel merito della propria storia. Né tantomeno parlare di “battaglie”. La corsa che intraprenderà il giorno della Liberazione, infatti, non è per accendere i riflettori su di sé (“i miei problemi familiari li ho risolti, per fortuna”) ma per ribadire il principio della bigenitorialità, ovvero il diritto del minore – in caso di separazione – a stare con entrambi i genitori. Un diritto sancito nella legge 54 nel 2006 ma di fatto poco applicato.

Borromeo, che nella vita fa l’insegnante, è padre di un ragazzino di dodici anni. Ed è per quelli come lui che camminerà per circa un mese e mezzo verso Nord, nella speranza – come gli è stato promesso – di incontrare “quattro parlamentari di gruppi diversi, da sinistra a destra”. Il suo scopo, non a caso, è evitare che intorno alla bigenitorialità nascano strumentalizzazioni politiche da parte di una fazione o dell’altra. Un obiettivo che appartiene anche all’associazione Figli Liberi che si è da poco costituita a Forlì e alla quale Antonio si appoggerà per presentarsi alle Amministrazioni comunali che incontrerà durante il percorso. Enti ai quali busserà per avanzare richieste, tenere conferenze, organizzare incontri.

Borromeo è stato dipinto più volte come il papà che prende le difese dei papà. Definizione che tenta di scansare, a favore di una visione molto più generale del problema: “Io penso che per arrivare a una soluzione concreta e per tutelare i bambini vittime delle separazioni, sia necessaria la collaborazione delle mamme. Senza di loro, non andiamo da nessuna parte. Inutile farsi la guerra”. Ha scelto la strada della moderazione, “Papi Gump”, convinto che sia inutile accusare giudici, avvocati, assistenti sociali e gestori di case famiglie quando la matassa è così imbrogliata: “Il mio motto, quello che ha fatto proprio anche mio figlio, è che ‘insieme si può’. Non mi piace puntare il dito. Mi piace ascoltare e mettere la mia esperienza a servizio degli altri”.

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