“Ginevra resisti, domani ti salvo la vita”. E il nonno ci scrive un libro

Chiara e Ginevra
Chiara e Ginevra

Un’apnea una mattina, nella culla. E una piccola fuoriuscita di latte dal naso. Poi la corsa all’ospedale. Perché per Chiara Boni, di Sant’Agata Bolognese, mamma della piccola Ginevra, la paura era stata tanta. Siamo nell’aprile 2013: i valori del fegato della bambina, che allora aveva solo due mesi, sono sballati. Ma a Bologna, come in tutta la regione, non sono in grado di diagnosticare con precisione quella che appare come una delle ipotesi probabili: atresia delle vie biliari, una rara e grava patologia del fegato che viene invece confermata al Bambino Gesù di Roma. E che non perdona: “Ginevra, senza un fegato nuovo, non sarebbe arrivata all’anno di vita”.

Ginevra viene operata a soli 76 giorni di vita: un intervento che deve servire a rallentare il decorso della malattia, in attesa del trapianto. “Un’operazione – racconta Chiara – con una bassissima percentuale di successo. Mia figlia, a luglio, si era già aggravata parecchio. Aveva la pancia gonfia d’acqua, era gialla e il valore della bilirubina nel sangue era 30, anziché 0,2. Aveva problemi di coagulazione, rischiava ogni giorno l’emorragia. E non mangiava quasi più”.

Quando in settembre Ginevra torna a Roma, i medici con i suoi genitori sono chiari: “Voi, da qui, non uscite prima del trapianto”. Trapianto da vivente, come i dottori avevano consigliato e come Chiara e il compagno avevano scelto di fare: perché il fegato di Chiara era compatibile con quello della figlia. “Ci avevano anche detto che, nel frattempo, sarebbe sicuramente arrivato anche un fegato da cadavere”.

Invece no, il fegato non arriva. E il 6 novembre Chiara e Ginevra entrano in sala operatoria insieme. Una corsa contro il tempo, in realtà, perché Ginevra si è aggravata tantissimo e tra esami, iter burocratici e autorizzazioni del Tribunale, rischia di non farcela. “Ho salutato mia figlia la sera prima del trapianto, pregandola di resistere. Avevo paura che non arrivasse viva alla mattina dell’intervento, tanto è vero che era in rianimazione già da tre giorni“.

Ginevra esce dall’ospedale alla fine di novembre, con un fegato nuovo. Chiara non ha più il lobo sinistro e le ci vorranno sei mesi per recuperare. A parte la cicatrice dal seno all’ombelico, oggi fa una vita normale: “Per mia figlia, invece, i mesi a venire sono stati costellati di farmaci, farmaci e farmaci. Ma è stata fortunata: a parte un rigetto che siamo riusciti a curare con i medicinali, sta bene. Ha quasi due anni e si ammala pochissimo, nonostante sia immunosoppressa. Nel 2016 potrà andare alla scuola materna, per ora se ne occupano i nonni”.

Il libro scritto dal nonno di Ginevra
Il libro scritto dal nonno di Ginevra

E i nonni sono stati una parte fondamentale di questa storia a lieto fine: “Sia i miei genitori che i miei suoceri ci sono stati davvero vicini. Mio padre Renzo, che nella vita fa il chimico per l’industria alimentare, da questa esperienza ha tratto l’ispirazione per un libro”. Si chiama “L’amore infinito. La storia di Ginevra”, il cui ricavato andrà a finanziare la ricerca e le attività di sensibilizzazione sul trapianto. Perché il messaggio che deve passare è che non si può morire perché manca un organo che qualcuno non ha voluto – per indifferenza o inconsapevolezza – regalare a chi ne ha bisogno: “Ho visto bambini morire perché mancava un cuore. Ne ho visti altri non farcela nonostante il trapianto, perché sono arrivati all’intervento troppo debilitati. C’è troppa lista, c’è troppa attesa. Lo dico sempre a tutti: se muore un parente, donate. I suoi organi, sennò, non serviranno più a nessuno”.

Per comprare il libro si può chiamare Chiara Boni al 347.8526456 o scrivere a chiaraboni080@gmail.com
Qui il sito del libro
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