Mirella Santamato: “Mi dicevano che non avrei camminato: invece ho fatto pure due figlie”

Che a parlarti di felicità sia una donna che ha vissuto l’esatto contrario, può suonare strano. Eppure Mirella Santamato, giornalista e scrittrice, dopo aver abbattuto il suo orco personale, quel virus che da bambina le mangiò mezzo corpo facendo prevedere ai medici che non avrebbe più camminato, l’ha sconfitto. E la sua vita è come una colonna sonora della rinascita, tutta incentrata a sorridere, a guardarsi indietro per capire che la forza per essere felici è nella testa, più che nelle gambe. Ravennate, mamma di due figlie, è quasi del tutto autonoma, se non fosse per il bastone sul quale si sorregge e per le lunghe distanze che da sola non riesce a percorrere. Mirella presenterà sabato 22 marzo dalle 17 alle 19, alla Sala Buzzi di Ravenna (via Berlinguer, 11), la conferenza “L’economia del bene comune: l’utopia diventa realtà” dove Gunther Reifer, direttore del Terra Institute di Bressanone, parlerà di come un’azienda possa essere al tempo stesso redditizia, etica, sostenibile: diritti delle lavoratrici – e maternità in primis – comprese.
Mirella, come mai un tema così economico per una che ha sempre trattato di sentimenti come te?
“Vedo un mondo in crisi, vedo la mia figlia più grande partire per l’Inghilterra per poter avere un lavoro come grafica pubblicitaria. Il tema di ciò che i giovani possono fare qui, in Italia, senza aderire alla vecchia scuola di pensiero in base alla quale se cerchi il profitto sei cattivo e se invece rispetti gli altri non guadagni, mi interessa molto. Le due cose si possono coniugare, la quadratura del cerchio esiste”.
In gioco è il futuro dei nostri figli?
“Assolutamente sì, me lo chiedo da mamma orgogliosa quale sono. Anche la ma figlia minore, che ha 32 anni e fa il medico, ha fatto una gavetta che mai per un contratto che è ancora a tempo determinato”.
Non bastano, insomma, tenacia e volontà…
“Ma contano. Io ne sono la prova: secondo la scienza sarei dovuta rimanere in sedia a rotelle tutta la vita. Invece cammino, anche se ho bisogno di qualche facilitazione. Non avrei mai avuto figli, mi dicevano. Invece ho due ragazze splendide. Quando mi dicono di non fare una cosa, è la volta che la faccio. Ho avuto due gravidanze splendide, quando rimasi incinta della seconda i medici non mi dissero più nulla: ormai avevano capito con chi avevano a che fare”.
Nessuna difficoltà ad andare dritti per la propria strada?
“Ho sempre condotto una vita più che attiva, ho fatto anche la fotomodella, a dimostrazione che la bellezza non è l’adesione ad un singolo canone. Le mie gambe sono limitate, la mia mente no. E di conseguenza, nonostante quella lesione infantile al midollo spinale, la mia vita non è per niente handicappata”.
E in amore?
“Sono separata da una vita e trovare un uomo, al momento, è quasi impossibile. Vedo persone tristi, depresse, annoiate, che ti rubano energia. Quando incontrerò un uomo felice, lo amerò”.
Il lieto fine è anche quello di cui parli nel tuo ultimo libro “Le principesse ignoranti. I codici delle fiabe iniziatiche”: perché?
“Nel libro parlo delle storie che ci raccontano fin da quando siamo piccoli. Ho scoperto che quelle che ci dicono essere false, come le fiabe, in realtà sono le più vere. Per riconoscerle, devono avere due requisiti: il primo è che siano senza autore, il secondo è che terminino con ‘vissero felici e contenti'”.
Non è un’illusione?
“Affatto. Prima del lieto fine ci sono lupi, draghi e mele avvelenate. Così nella vita: solo dopo aver affrontato, combattuto e superato il male, saremo felici. A me è successo: l’orco mi ha aggredita, poi mi ha sputata e io sono risalita fino a diventare una principessa di me stessa”.
Le fiabe che finiscono male, quindi, sono pericolose?
“Possono essere bellissime ma allo stesso tempo contenere un rischio. Pensate a ‘Peter Pan’, che finisce con un messaggio drammatico: se decidi di diventare adulto non potrai più volare. Non a caso è nata una vera sindrome associata a Peter Pan, quella che colpisce chi non vuole diventare grande. Mamme e maestre devono saperlo: i bambini non sono stupidi, capiscono a volte prima e più di noi. Se un bambino è fragile e condizionabile, assorbirà quanto di negativo c’è in un messaggio del genere”.

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