Partire dagli uomini, non lasciarli più sullo sfondo. In tema di violenza sulle donne, anche Ravenna vuole cambiare prospettiva. L’obiettivo di alcuni operatori che ruotano intorno all’associazione “Femminile Maschile Plurale”, che insieme a “Dalla parte dei minori” organizza a partire da mercoledì 12 febbraio, alla sala D’Attorre (via Ponte Marino, 2), sei incontri dal titolo “La violenza maschile nelle relazioni intime. Esperienze di accompagnamento al cambiamento”(dalle 9,30), è tanto ambizioso quanto necessario: aprire uno spazio di ascolto e trattamento per uomini violenti, sulla falsariga di quello che è accaduto negli ultimi anni in altre realtà italiane come Firenze e Ferrara. Antonella Bufano, psicologa e psicoterapeuta nonché coordinatrice dei seminari in partenza (con lei ci lavora Daniele Stumpo di “Dalla parte dei minori”), spera che tra i colleghi, così come tra avvocati, forze dell’ordine e servizi socio-sanitari, si diffonda una sensibilità tale che anche a Ravenna sia possibile fare come a Modena, dove nel 2011 ha aperto “Liberiamoci dalla violenza”, il primo centro pubblico dedicato agli uomini maltrattanti.
Antonella, come sempre l’Italia è indietro rispetto ad una società che si evolve, cambia e ha bisogno di nuovi interventi?
“Purtroppo sì, anche se in Emilia-Romagna si sta facendo molto. I primi interventi rivolti agli uomini sono nati in Toscana nel 2009, con l’apertura del primo centro privato a Firenze, il Cam. A Ferrara, lo scorso anno, è nato un secondo centro. Esperienze simili sono anche a Forlì, dove esiste il Centro Trattamento Maltrattanti, e a Rimini, dove è nato il servizio Liberi dalla Violenza. Alcuni di questi casi saranno raccontati nel dettaglio durante gli incontri che abbiamo organizzato. La maggior parte degli operatori segue il modello norvegese dell’Alternative to Violence”.
Quest’attenzione è dovuta al fatto che il fenomeno della violenza sulle donne è in aumento? O ad una nuova sensibilità degli addetti ai lavori?
“L’associazione Linea Rosa di Ravenna ci racconta che le richieste sono in costante aumento. In ogni caso la violenza sulle donne è difficilmente quantificabile, per le difficoltà che molte vittime hanno nel denunciare i loro aggressori. Il problema riguarda anche il fatto che la violenza è spesso domestica, quindi poco visibile e di conseguenza sottostimata. Ma tra gli operatori si sta iniziando a capire che siamo di fronte ad un fenomeno che ha cause principalmente culturali, che esiste una questione maschile. Spesso la violenza ha a che vedere con l’idea che l’uomo ha delle donne, con una loro svalutazione. Ciò non toglie che il violentatore possa avere delle difficoltà personali. Ma in genere non rientrano nella psicopatologia”.
Qual è il rischio, al contrario, di categorizzare l’uomo violento come il mostro o il criminale di turno?
“Il rischio è di soffermarsi sul caso singolo, perdendo di vista quali sono i contesti di socializzazione che educano alla violenza. Ecco perché in molti dei centri per uomini violenti, gli operatori sono uomini. Una grande novità che serve ad accompagnare i maltrattanti verso una riflessione sul loro modo di essere uomini, sulla responsabilità che in questa società il fatto di essere un uomo comporta”.
Dove vanno ricercate le responsabilità?
“Un po’ ovunque, anche se l’educazione gioca un ruolo fondamentale. Esiste ancora l’idea, purtroppo, che il bambino maschio non debba piangere, dovendosi mostrare sempre forte e coraggioso. Se si ha un modello di questo tipo in famiglia, già si parte male. Per non parlare di quello che c’è fuori. La responsabilità è di tutti, spesso ci si concentra sul ruolo che la scuola dovrebbe avere nell’abbattere gli stereotipi sessisti: io sono convinta che non si possa delegare questo compito esclusivamente agli insegnanti”.
C’è una nuova frontiera di espressione della violenza?
“Sì, Internet. Lo stiamo vedendo anche in questi giorni con gli attacchi alle donne delle istituzioni, che celano forme di sessismo, razzismo, esclusione. Il web è una nuova piazza dove le donne sono tutto fuorché benvenute. Il problema è che la violenza, da verbale, può trasformarsi in fisica. A parole arrivano le intimidazioni, a fatti può succedere molto peggio. Si tratta in entrambi i casi di un indebolimento dei diritti delle donne”.
E anche dei minori, laddove ci sono di mezzo dei figli…
“Senz’altro: è un aspetto che tratteremo durante gli incontri. In quest’ottica, per noi trattare l’uomo significa proteggere non solo la donna che ha davanti ma anche i bambini, spesso testimoni di una violenza domestica che può avere effetti devastanti. Ma c’è una speranza: la leva motivazionale della paternità può agire positivamente sull’uomo, invitandolo a cambiare. Il bambino è lo specchio degli atti violenti: è terribile per l’uomo rendersene conto. Da qui può partire la sua rinascita. E quella di tutta la sua famiglia”.
Per il programma degli incontri, clicca qui
Romagna Mamma seguirà le principali tematiche affrontate durante i seminari con alcune interviste ad hoc.
In questo articolo ci sono 0 commenti
Commenta