“I maschi violenti? Tragicamente normali”. E a dirlo è un uomo, Michele Poli

Gli uomini violenti sono tra di noi e quasi sempre assomigliano agli uomini non violenti. Nessuna patologia particolare: “Sono problematici in virtù degli stessi meccanismi che attraversano gli uomini pacifici. Se nei primi scatta la violenza, è perché ci sono una serie di coincidenze particolari. Ma parliamo dello stesso modo di vivere la mascolinità”. Per Michele Poli, coordinatore del Cam di Ferrara che domani alle 9 grazie a Femminile Maschile Plurale e a Dalla parte dei Minori sarà alla sala D’Attorre di Ravenna (via Ponte Marino, 2) per gli incontri “La violenza maschile nelle relazioni intime”, il maschio violento è “tragicamente normale”.
Eppure, quando si parla di violenza sulle donne, si tirano in ballo chissà quali orchi…
“E qui emerge la connessione tra violenza e cultura. La nostra società è impostata sulla violenza, perciò anche il lavoro degli operatori richiede enormi passi in avanti: le stesse tecniche di intervento sono condizionate culturalmente. Perciò va messo in crisi un intero sistema di riferimenti e valori. Lo faccio anch’io, quando davanti a me ho un uomo autore di violenze”.
Come arrivano gli uomini?
“Sia volontariamente che inviati dai Tribunali. In entrambi i casi notiamo scarsa collaborazione: gli uomini negano di aver agito violenza, non si riconoscono così. Occorre puntare la luce sopra la violenza, vederla da una certa distanza, come fosse un fuoco: solo così acquista vivezza e porta alla consapevolezza di chi l’ha usata”.
Non dev’essere semplice da trattare, come problema…
“Non lo è. Il setting terapeutico viene completamente stravolto. Se vengono inviati da altri, gli uomini maltrattanti ci identificano con le stesse istituzioni che hanno fatto loro del male, che hanno sottratto loro i figli. Però il problema è reale: lo sportello è attivo dal marzo dello scorso anno, siamo stati contattati da una cinquantina di persone, di cui venti hanno deciso di impegnarsi, di lavorarci su. Ultimamente stiamo registrando un incremento delle richieste”.
Si può già parlare di risultati?
“Assolutamente no. I norvegesi, che sono i nostri maestri, stanno cominciando ora a misurare i risultati di un progetto che ha 25 anni. Ce ne vogliono altri tre per ottenerli. La violenza maschile è una questione difficilmente misurabile. A distanza di tempo bisognerebbe parlare con la partner, con i figli. E in ogni caso, anche se l’uomo è cambiato, non è detto che il suo comportamento vada bene alla famiglia. Perché non esiste la violenza, esistono tante letture della violenza. Possiamo però riconoscere che tendenzialmente, grazie al nostro lavoro, le violenze più pericolose spariscono”.
La vostra équipe è composta per metà da uomini: quanto è importante?
“Si tratta di una bella novità, con una grande valenza simbolica. Da uomo a uomo si crea un forte patto. Non abbiamo nulla da insegnare, i nostri non sono interventi educativi. Sono percorsi nei quali noi operatori ci costruiamo e nei quali gli uomini – in generale – si prendono la responsabilità della violenza e provano ad uscirne”.

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