Tommy e Gianluca, storia di un rapporto esclusivo tra un ragazzo autistico e il suo papà

Tommy che è troppo grande da contenere, Tommy che come i suoi coetanei si masturba, Tommy che meriterebbe – al pari di tutti i ragazzi nelle sue condizioni – una città ideale costruita sulle sue esigenze. Gianluca Nicoletti, giornalista e autore di “Una notte ho sognato che parlavi” (Mondadori) domani mattina sarà al Palacongressi di Rimini per il convegno di Erickson “La qualità dell’integrazione scolastica e sociale”. Dove porterà lo sguardo reale di un padre che, quando non lavora, si occupa a 360 gradi del suo figlio adolescente con autismo, Tommaso.
Gianluca, nel libro racconti il tuo rapporto esclusivo e allo stesso tempo obbligato con Tommy. La sua palla, dici, è stata messa nelle tue mani. Chi lo ha deciso?
“Lo ha deciso Tommy. La sua adolescenza è arrivata in maniera rapida: si vedeva a colpo d’occhio. In poco tempo ha messo su la barba, è diventato 90 chili, mi ha superato in altezza. Per mia moglie sarebbe stato ingestibile, difficilissimo da contenere fisicamente. In quel momento è come se Tommy avesse deciso di stare con me, per fare cose da uomini. A parte le attività educative specializzate come il cavallo e la piscina, dove ancora mi divido con mia moglie, per il resto me ne occupo io. Il fine settimana, per esempio, ci sto io. Se con gli altri ha crisi di nervosismo e diventa irrequieto, con me è più tranquillo”.
A pochi passi da casa vostra hai comprato uno studio che hai trasformato nel vostro appartamento. Una fuga?
“Da tempo sognavo di realizzare uno studio per me. Appena ho avuto la possibilità, ho adattato quell’idea, facendone un appartamento a misura di Tommy. Ci sono grandi cuscini, c’è l’altalena. Le finestre sono in sicurezza. Tommy può usare l’I-pad, guardare la tv, disegnare. La chiamiamo ‘casa papà’. La sera andiamo lì, dove io finisco di lavorare e lui può rilassarsi. Poi ci stravacchiamo, mangiamo il gelato. A volte, soprattutto il venerdì, ci accampiamo e dormiamo lì. Per lui l’appartamento è come un’avventura. Per entrambi è come quando da ragazzino puoi restare a casa mentre i genitori sono fuori”.
Un padre così incastrato nell’accudimento del proprio figlio, come vive il suo affidamento a educatori che, come racconti, non sono specializzati in autismo?
“Quelli che paghi sono specializzati, quelli che ti passa il Comune attraverso le cooperative per l’assistenza domiciliare della legge 104, invece, no: sono persone messe lì a caso, impreparate e inefficienti. Io le conosco eccome le persone specializzate in autismo, il problema è che costano. Se le cooperative, per guadagnare, prendono venti euro all’ora per educatore e lo pagano tre, le cose non funzionano”.
Nel libro non hai certo omesso difficoltà e assurdità. Hai raccontato la tua vita con Tommy senza risparmiare nulla, nel bene e nel male. Hai ricevuto critiche?
“Sì, è normale. Ho osato mettere in crisi il sistema attuale dell’inclusione scolastica forzata. Nessuno in classe sa occuparsi dei ragazzi come Tommy. E così, quelli come lui, si ritrovano a passeggiare nei corridoi con i bidelli. Si continua a non capire che non si può guidare la macchina con la patente del motorino o, peggio ancora, senza patente. Quella dell’autismo è una branca troppo specifica”.
Il capitolo dedicato alla sessualità ha destato scalpore?
“Alcuni hanno storto la bocca. Non vedo che cosa ci sia di scandaloso nel fatto che un adolescente, anche se con autismo, scopre la propria sessualità e l’autoerotismo. Io ho cercato e cerco di assecondare le normali esigenze di Tommy, guidandolo e insegnandogli a non farlo in pubblico, a non farsi male. Se sente il bisogno di masturbarsi perché sa che prova piacere, non lo lega certo all’immagine di una donna nuda. A lui può succedere mentre guarda Z la formica”.
Le ultime pagine sono dedicate ad un’utopia, Insettopia, ovvero una città costruita sulle esigenze dei ragazzi come Tommy. Ad un padre come te, è ancora concesso sognare?
“Sì, nel mio sito racconto il mio viaggio attraverso le poche ma illuminanti esperienze in giro per l’Italia. In Emilia-Romagna ce n’è una a Modena, si chiama Abilityamo. Tra Forlimpopoli e Bertinoro ha da poco inaugurato un centro della fondazione Fornino Valmori. Anche in una realtà caotica come Roma, sto cercando di sensibilizzare i genitori a espugnare nuovi fortini”.

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Commenti:

  1. Insegno danza creativa nella scuola pubblica. Mi è capitato di avere tanti alunni autistici e sono d’accordissimo con Nicoletti: in molti casi l’integrazione è un’illusione e tutti si sentono in difficoltà perché non riescono a raggiungere l’ ‘utopia’ dell’integrazione.

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