In quasi 4 consultori italiani su 5 non vengono forniti gli stick per i test di gravidanza necessari a ricevere la prescrizione della nuova contraccezione d’emergenza. E nel Sud la situazione peggiora: poco più di un consultorio su 10 può disporre dei test (15,4%). Il quadro diventa ancora più critico nei Pronto soccorso: nell’81% dei casi non ci sono gli stick sulle urine. Nel Sud il vuoto è quasi assoluto: sono pochissimi, infatti, i Pronto soccorso in grado di effettuare test di gravidanza rapidi (appena l’11%). E’ quanto emerso da una ricerca svolta da Datanalysis e realizzata in 200 consultori e 100 Pronto soccorso-Dea presenti su tutto il territorio nazionale.
Il risultato di questa situazione – evidenzia una nota – è che le donne sono costrette a pellegrinaggi estenuanti verso strutture in grado di rispondere alle loro esigenze o verso laboratori di analisi per test più invasivi e costosi. E se proprio non possono effettuare il test in tempi rapidi devono ricorrere ad altri contraccettivi, meno efficaci rispetto alla nuova opzione terapeutica. Un quadro decisamente negativo, anche perché l’Italia è l’unico Paese – tra i 61 nel mondo dove è stata autorizzata la vendita della nuova pillola per la contraccezione d’emergenza – sottoposto all’obbligo della presa visione del medico di un test di gravidanza negativo prima della prescrizione.
“La contraccezione d’emergenza – sottolinea Francesca Merzagora, presidente dell’Osservatorio nazionale salute della donna (Onda) – è un presidio di prevenzione validato e conosciuto, ma, alla luce dei dati, emerge come l’equità di accesso e il diritto alla miglior cura disponibile sia fortemente messo in discussione. Da una parte, infatti, ci sono poche strutture che prescrivono, dall’altra, anche quelle che lo fanno sono ostacolate a causa dell’obbligatorietà del test di gravidanza, che, oltretutto, come emerge dalla ricerca, risulta non fruibile in molte strutture. La contraccezione d’emergenza è l’ultimo baluardo per scongiurare il rischio di dover ricorrere a una interruzione volontaria di gravidanza che, oltre a essere un’esperienza estremamente dolorosa per la donna, risulta di fatto un fallimento delle politiche di prevenzione e pianificazione della salute sessuale e riproduttiva”.
“Da ginecologa questi dati mi sconcertano – dice Rossella Nappi, ginecologa, endocrinologa e sessuologa all’Università di Pavia e Past President dell’International society for the study of women’s sexual health – Non comprendo, infatti, il perché di una restrizione d’accesso generalizzata e scientificamente ingiustificata a un nuovo farmaco, che è stato valutato come un’occasione educazionale per la salute della donna e una forma di contraccezione più efficace”. L’esecuzione obbligatoria di un test di gravidanza non è, infatti, stata inserita nel riassunto delle caratteristiche di prodotto né dall’Agenzia del farmaco europea (Ema) né da quella statunitense (Fda). Il test eventualmente viene suggerito solo a seguito di una adeguata valutazione clinica.
“Per di più – aggiunge Nappi – quest’obbligo diventa inappropriato nel momento in cui le nostre strutture non sono, per varie cause, in grado di eseguirlo prontamente. Questo aumenta inevitabilmente l’inaccessibilità, o comunque la difficoltà e il ritardo nell’accesso a una contraccezione d’emergenza più efficace, che nelle prime 24 ore dal rapporto non protetto riduce di ben 2/3 il rischio di gravidanza indesiderata, rispetto al vecchio farmaco, e lo dimezza nel caso di assunzione nei primissimi giorni fino a 72 ore”.
In gioco ci son quindi i diritti femminili. “I diritti delle donne sono troppo spesso negati – afferma Daniela Colombo, presidente dell’Associazione italiana donne per lo sviluppo (Aidos) – rimuovere inutili impedimenti, considerando che la rapidità di accesso è la chiave di volta per un’efficace contraccezione d’emergenza, eviterà che l’accesso al farmaco si trasformi in una lunga maratona densa di ostacoli”.
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