Libraio per una notte. Cristiano Cavina ha pubblicato meno di un anno fa il suo “Romagna mia!” (Laterza) che è già alle battute finali di un nuovo libro che dovrebbe uscire in tempo per il Festival di Mantova. Domani sera dalle 20,30 lo troverete da Liberamente a Ravenna (viale Alberti, 38) per l’iniziativa “Letti di notte” che alcune librerie indipendenti d’Italia hanno organizzato. In Romagna ci sono Cartamarea a Cesenatico, Il giardino di Gulliver a Cattolica e la libreria Mosaico di Imola. Da Liberamente alle 20,30 sono in programma letture per bambini a cura di Nati per Leggere.
Cristiano, come ti vedi in qualità di commesso?
“L’ho già fatto in passato. Ma mi viene meglio stare in magazzino, tra gli scatoloni. In ogni caso, consiglierò i libri che Matteo Diversi ha in negozio. Non mi troverete alla cassa”.
Mica potrai averli letti tutti…
“In quel caso improvviserò. In fondo sono sempre stato un gran lettore, molto prima di essere scrittore”.
Fin da bambino?
“Sì, anche se in casa mia di libri non ce n’erano. Li scoprii a scuola, grazie alla maestra. Con mio figlio Giovanni, che ha quasi sei anni, ho evitato la penuria di carta. Andiamo in biblioteca, sì, ma compriamo anche tanti libri”.
Che cosa gli piace?
“Dinosauri e supereroi: è in questa fase e non si schioda. Mi sono fatto una gran cultura. Ma ne sapevo già molta: avevo le stesse passioni, da piccolo”.
Sa già leggere, Gio’?
“Inizierà la scuola elementare in settembre, ma qualche parola la riconosce già. La sua biblioteca è destinata ad aumentare”.
Speri diventi uno scrittore?
“Guai al mondo. Meglio di no. Spero solo che sia il primo laureato della famiglia Cavina. Nessuno ce l’ha fatta finora”.
Che lavoro fa papà, secondo lui?
“Non mi chiama papà, e nemmeno babbo. Mi chiama ‘babba’. Babba per lui fa il pizzaiolo. Però lo sa che scrivo anche. Quando entriamo in libreria e mi riconoscono, quando vede la mia foto sul giornale, si accorge che c’è dell’altro”.
A proposito di romagnolità, quella che racconti in “Romagna mia!”, come cerchi di trasmettergliela?
“Viene naturale, quando vivi in un territorio, acquisirla. Per me è come una malattia contagiosa, ti si appiccica addosso. Io non gli ho insegnato a dire ‘ciò’ ma lo dice. Se a cinque anni dice ‘ho rimasto’, un motivo ci sarà”.
Parla anche in dialetto?
“No ma qualcosa capisce. Tante volte, invece di dire ‘cosa fai?’, dico ‘sa fet?’. E poi il dialetto è impastato con l’italiano, dalle nostre parti. A Casola Valsenio non usiamo ‘andiamo’ ma ‘diamoci la molla’. Quando un bambino sente ‘ti sei ingavagnato’, nel dialetto c’è già entrato in pieno”.
Babba Cavina scrive anche con Giovanni tra i piedi?
“Solo quando dorme oppure la mattina. Scrivo con un Mac Book. Mi sono aggiornato rispetto alla macchina da scrivere, con cui ho scritto i primi nove romanzi, mai pubblicati”.
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