Corsi pre-parto, assistenza al puerperio: gli operatori fanno mea culpa

Corsi pre-parto, presa in carico della gravidanza da parte dei Consultori e successivamente degli ospedali, assistenza al puerperio: non è tutto oro quello che luccica. Nel corso di uno degli incontri dell’iniziativa “Il latte della mamma non si scorda mai” che prosegue anche oggi, dalle 11 alle 19, in piazza San Francesco a Ravenna, gli operatori hanno messo in luce punti di forza e criticità dei servizi offerti.

Sabrina Bartoli, ostetrica all’ospedale di Lugo, ha messo in luce l’importanza dell’attaccamento al seno immediatamente dopo la nascita, quando la donna è ancora in sala parto: “Spesso si ha fretta di prendere le misure del neonato, di fargli il bagnetto e la profilassi. Invece è meglio occuparsi dell’allattamento. Altrimenti si rischia di dover recuperare più tardi quei preziosi momenti perduti. Invito le mamme a chiedere che venga svolta questa prassi purtroppo ancora poco diffusa”. E capita anche che le donne dimesse precocemente (prima delle 24 ore dopo il parto), una volta a casa abbiano necessità di tornare in ospedale per farsi aiutare ad allattare.

Per Oriana Gasperoni, vicepresidente del collegio delle ostetriche di Ravenna, andrebbe migliorata anche l’attenzione al puerperio: “Noi offriamo la visita di controllo a domicilio a tutte le donne dimesse precocemente. Le altre vengono contattate il giorno dopo le dimissioni, se vogliono possono richiedere una nostra visita a casa. Io non vado mai via da casa loro senza aver osservato almeno una poppata. Abbiamo anche a disposizione un ambulatorio dedicato al puerperio dove cerchiamo di stimolare le donne a venire e mettiamo a disposizione un cellulare di reperibilità. Non è facile, però, convincere le donne a chiamarci e a farsi aiutare. Spesso, chi rifiuta il nostro ingresso in casa, in realtà è chi ha più bisogno”.

Per Simonetta Ferretti, responsabile dei Consultori per l’Ausl di Ravenna, è più che mai necessario aumentare la percentuale di chi frequenta i corsi pre-parto, che sui tre distretti di Ravenna, Faenza e Lugo ammonta al 47% di chi poi partorisce in provincia: “I nostri corsi si dividono in informativi e formativi. I primi sono molto partecipati, nei secondi abbiamo messo un numero chiuso: possono frequentarli tra le 8 e le 18 persone. Ci piacerebbe coinvolgere anche i papà ma raddoppiare il numero di frequentati non è semplice. Servirebbero più risorse”. Un’altra sfida è quella che riguarda il coinvolgimento delle gravide straniere. La recente apertura di una sede di consultorio a Lido Adriano, dove l’utenza in poco tempo è aumentata moltissimo, non elimina il problema della bassa partecipazione: “Abbiamo tentato con l’inserimento di una mediatrice culturale – spiega Ferretti – ma non è sufficiente. Eppure il 50% delle gravidanze seguite dai nostri consultori e il 30% dei nati riguardano mamme straniere”.

Eppure qualcosa si può fare. Buoni risultati li hanno dati le gravide cinesi sia a Rimini che a Cesena, dove oltre a far registrare un alto tasso di adesione, hanno coinvolto anche i futuri papà, facendo tra l’altro agli operatori domande inaspettate sulla sessualità e gli equilibri della coppia dopo l’arrivo del figlio: “Ci aspettavamo di dover dare informazioni molto basilari – spiega Daniela Daniele, coordinatore del Percorso Nascita di Rimini – e invece siamo rimasti piacevolmente sorpresi”.

Altro tasto dolente, la scarsa collaborazione che Norma Bini, presidente del Collegio ostetriche di Ravenna, denuncia tra territorio e ospedale: “Ostetriche ospedaliere e ostetriche dei consultori si considerano ancora due entità distinte, come se esistesse una classe A e una classe B. Come pensiamo di poter assistere le neomamme se abbiamo questi paletti?”. A Forlì hanno da tempo superato l’empasse e addirittura, a breve, partirà in via sperimentale un progetto di scambio di personale: le ostetriche del consultorio andranno a lavorare in ospedale e viceversa. Non solo: sempre più mirata vuole essere l’offerta dei servizi. Per ogni donna, dall’inizio della gravidanza, viene compilata una scheda sul disagio emozionale (non solo depressione post-parto, quindi) che tiene in considerazione, dopo la nascita del bambino, anche le relazioni primarie e l’allattamento. Le visite domiciliari, così, vengono fatte sui casi selezionati.

Modelli diversi, dunque, se si pensa che a Cesena, in aggiunta al corso pre-parto, esistono una serie di incontri monotematici (dedicati, per esempio, alla nutrizione e al parto in analgesia) e un percorso formativo per coppie svolto però, per mancanza di risorse, in libera professione. A Forlì, addirittura, i corsi di accompagnamento alla nascita si tengono in orario serale, per consentire la partecipazione degli uomini e delle mamme che lavorano: “Siamo noi a dover andare incontro alle esigenze dell’utenza – sottolinea Licia Massa, coordinatore del dipartimento materno-infantile – non l’utenza a doversi adattare ai nostri orari di lavoro”.

Critica ma allo stesso tempo propositiva Simonetta Ferretti: “L’idea che una gravidanza sia seguita fino alla 38esima settimana da una parte e dopo la 38esima settimana da un’altra ha dei limiti professionali. La sperimentazione di Forlì sarà sicuramente una bella esperienza da proporre nell’ambito di Area Vasta”. E Federico Marchetti, primario di Pediatria all’ospedale di Ravenna, rincara la dose: “Noto una sofferenza tra il personale. Sono d’accordo sul fatto che serva un’integrazione tra ospedale e territorio. Il sostegno alla madre nel tempo, sennò, viene a mancare”.

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