“Qualcuna impiegherà tre ore, qualcun’altra cinque. Non è questo che importa”. Julia Jones è la fondatrice del JJ Running Festival che si terrà a Bologna domani e domenica. Una kermesse sportiva tutta in rosa, che ha in sé un obiettivo culturale: fare sì che le donne si prendano il tempo per loro stesse, che non debbano avere il permesso del marito per partecipare a una gara, che si liberino attraverso uno sport di puro piacere dall’imbuto lavoro-casa-famiglia.
Julia, nel 1981 sei arrivata in Italia dalla California. Che atmosfera hai trovato dal punto di vista sportivo?
“Negli Stati Uniti praticavo la corsa, facevo trekking, andavo in bici. Quando sono arrivata qua ho subito notato che lo sport per divertirsi mancava del tutto. L’agonismo prevaleva. Ma quando ho lavorato per un’agenzia viaggi e sono riuscita a portare un gruppo di italiani alla Maratona di New York mi sono accorta che un popolo che amava lo sport per il gusto di farlo e basta esisteva eccome, anche se sommerso. Da lì è partita la mia sfida”.
Come te la sei giocata?
“In Italia c’era una sola rivista dedicata alla corsa ma era di una noia mortale, improntata esclusivamente sulla performance tecnica. Scrissi al direttore lamentandomi del fatto che io, pur correndo, in quelle pagine non trovavo nulla di interessante. Mi affidò una rubrica dove potevo parlare di corsa in maniera più libera, collegandola ai sentimenti e non a degli obiettivi agonistici. Avevo voglia di parlare della mia collezione di magliette? Lo facevo”.
E le donne, in tutto questo, come sono venute fuori?
“L’altra carenza che avevo notato era l’assenza delle donne dalla corsa. Qualcuno mi diceva che era una questione di pigrizia: affatto. Secondo me era un problema culturale: le donne non avevano tempo per correre, inscatolate tra i mille impegni della vita quotidiana. Anche le donne più emancipate erano guardate male dai mariti, se chiedevano di prendersi il tempo per fare sport”.
Come hai cercato di invertire la tendenza?
“Ho inventato un marchio, Il Corso di Corsa, con il quale proponevo gruppi di allenamento al femminile nei parchi delle città: ne ho coperto più di sessanta da Bolzano a Palermo. Io vivo a Modena, quando sono arrivata dall’America abitavo in Toscana. Ma il mio obiettivo era condividere la mia esperienza su tutto lo stivale”.
Qualcuno ha cercato di copiare il mio modello?
“Sì, soprattutto quando ho lanciato ‘My first marathon’, un programma di allenamento per amatori. Io chiedevo solo di citare il mio marchio, per il resto però mi considero un libro aperto, voglio che il mio messaggio passi il più possibile”.
Ma davvero c’è differenza tra uomini e donne, nel modo in cui corrono?
“Uomini e donne vanno allenati in modo diverso dal punto di vista mentale, non fisico. L’ho raccontato nel libro ‘Correre al femminile'”.
Dal libro al JJ Running festival, quale passo c’è stato?
“La voglia di lanciare un’iniziativa più in grande, in una città centrale come Bologna, per chiamare le donne a correre. Siamo alla terza edizione, nelle prime due diciamo che c’è stato una sorta di riscaldamento. Non è semplice convincere le donne a spostarsi per un fine settimana. Quest’anno abbiamo aggiunto le gare per i bambini apposta”.
Da dove arrivano le partecipanti?
“Il 10 percento dall’estero, comprese Austria e Gran Bretagna. Avremo addirittura una signora da Dubai. E’ una bella soddisfazione”.
Corsa è sinonimo di sport, in questo caso?
“E’ sinonimo di tempo per se stesse. A chi non ama la corsa chiedo: ‘Quindi tu che fai? Nuoti, vai in palestra?’. Tutte noi abbiamo bisogno di muoverci. Domani sera terremmo un evento a cui tengo molto, si chiama ‘Ispirazione’: ci confronteremo sulla motivazione, senza la quale non si va da nessuna parte. Nella motivazione entrano in gioco anche altri fattori. Un esempio? L’atteggiamento dei mariti nei confronti delle mogli”.
In questo articolo ci sono 0 commenti
Commenta