Per Simone e David la campanella non suona: la scuola è a casa loro

Per costruire la lavagna hanno preso un pannello di truciolato e l’hanno verniciato di nero. Alle pareti della sala da pranzo hanno appeso le carte geografiche, trasformando la stanza in un’aula. A casa di Marzia Bosoni e Alessandro Caselli la campanella non suona. Ma questa è una scuola, che poi si chiami parentale poco importa. Simone e David, i due gemelli di undici anni di Marzia, traduttrice di Piacenza, trasferitasi tre anni fa a Ravenna con i suoi tre figli (la più grande è Sara, che fa la quinta ginnasio al liceo classico) e il compagno ferrarese, hanno lasciato la scuola statale lo scorso ottobre. La quinta elementare la stanno facendo a casa loro. Un diritto sancito dalla Costituzione, che individua proprio i genitori come i responsabili dell’istruzione dei figli. Un diritto che però si perde negli intricati rivoli dei decreti ministeriali e delle circolari collegate. Marzia e Alessandro racconteranno la loro avventura, che si chiama scuola “Iqbal Malala”, oggi alle 17,30 nella sede di Citt@ttiva a Ravenna (via Carducci, 14). Un’avventura che è anche raccontata in un blog.
Marzia, com’è stato l’iter per avviare la vostra scuola familiare?
“L’iter è molto semplice. Il problema è che nemmeno gli addetti ai lavori sono informati e la disciplina è avvolta dalla nebbia. Per fortuna abbiamo trovato due dirigenti scolastici che si sono presi l’impegno di indirizzarci. Alla fine abbiamo scoperto che non c’è nessuna richiesta da fare, ma solo una comunicazione da dare. Dopo la quale si può iniziare. E così abbiamo fatto noi”.

Alessandro fa lezione di matematica a Simone e David


Dovete seguire i programmi ministeriali o fate di testa vostra?

“La scelta è libera. Noi abbiamo deciso di prendere come riferimento i programmi, modificandoli e aggiungendo o sostituendo materie. Al posto di religione, per esempio, abbiamo inserito lo studio delle culture e delle religioni. Facciamo anche educazione civica, per esempio portando i bambini a pagare le bollette. Educazione domestica, facendoli cucinare. E molta musica: in quattro anni a scuola Simone e David non avevano fatto nulla, ora suonano la tastiera e il flauto. Io copro l’area umanistica, Alessandro quella scientifica”.
Non avete timore che i bambini ‘restino indietro’?
“No, affatto. In matematica, che è la loro materia preferita, sono già ai programmi di seconda media. Dove notiamo un interesse maggiore, riusciamo a fare molto di più. In ogni caso per i bambini dell’istruzione parentale è previsto un esame di idoneità ogni anno. E lì dovranno dimostrare di non essere indietro”.
Seguite un orario, come se foste nella scuola tradizionale?
“All’inizio l’avevamo escluso. Avevamo adottato lo stile delle scuole democratiche e libertarie, come Summer Hill. Ogni giorno chiedevamo ai bambini che cosa avessero voglia di fare. Poi l’entusiasmo è calato poco a poco. Avendo frequentato per quattro anni la scuola tradizionale sono stati abituati ad uno schema abbastanza rigido. Così abbiamo inserito un orario. La mattina facciamo due lezioni, il pomeriggio un’ora e mezza di esercizi. Abbiamo fatto così anche con voti e verifiche: eravamo contrari ma i bambini ce li hanno richiesti, la scuola li ha abituati ad essere valutati. Se nessuno li giudica, sono convinti di non aver imparato”.
Simone e David sono contenti di quest’esperienza?
“Sì. Hanno più tempo libero, possono fare le domande che vogliono, non vivono la scuola con ansia. Prima in casa c’era sempre un clima teso, ogni giorno ci si chiedeva che cosa sarebbe successo. Oggi la qualità delle nostre relazioni familiari è molto migliorata. Lo svantaggio, per loro, è avere me e Alessandro come insegnanti: pretendiamo molto, siamo più severi dei prof”.
E per voi due, quali sono i pro e i contro?
“E’ bellissimo calibrare l’insegnamento su ciò che piace a loro. Un esempio? Oggi Alessandro aveva in programma una lezione sulle unità di misura. Ma ieri sera hanno visto insieme lo spettacolo di Marco Paolini sul Vajont e in questo momento sono di là che ne discutono: i bambini hanno mille domande. Dall’altra parte per noi è un impegno costante. Al momento non abbiamo un lavoro fisso: io scrivo, traduco, do ripetizioni. Anche Alessandro fa qualche lavoretto. Abbiamo modo e tempo per stare dietro all’istruzione dei bambini. Che comunque è faticosissima”.
Avete avuto dei detrattori?
“Sì, molti ci hanno criticato sostenendo che i bambini così non socializzano con i coetanei. Io rispondo che la scuola, com’è strutturata oggi, non prevede la socialità. Forse c’era una volta, quando si giocava a palla nei cortili. Oggi no: c’è un quarto d’ora di ricreazione durante la quale spesso c’è altro da fare. I miei figli socializzano in altri modi: vanno a musica, invitano gli amici a casa. A scuola, inoltre, non erano ben integrati: non sentono la nostalgia di quell’ambiente”.
Chi si oppone alla scuola parentale la considera un po’ fuori dal tempo. E’ così?
“Non ci sentiamo né dei santi, né la Montessori. Per Simone il bello di quest’esperienza è che ha più tempo per giocare con la play station. Siamo molto terreni e moderni, insomma”.
Non c’è il rischio che i bambini confondono il ruolo dei genitori con quello degli insegnanti?
“No, un genitore è prima di tutto un educatore. Molti ci dicono che in questo modo non imparano a rispettare l’autorità. Se per autorità intendono il fatto di piegare pedissequamente la testa di fronte a qualcuno che gerarchicamente è più in alto di loro, è vero. Ma io sono contraria all’ubbidienza senza condivisione né discussione. Al massimo il problema è mio e di Alessandro: i bambini non si fanno scrupoli a criticarci se spieghiamo male o se l’argomento della lezione fa schifo. Il fatto di rapportarsi con altro adulti, poi, non manca: spesso invitiamo amici e conoscenti esperti di certi argomenti. A breve inseriremo anche il nuoto come attività fisica”.

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Commenti:

  1. Salve ,cerco disperatamente una scuola parentale elementare per i miei 2 figli a Ravenna o Forlì e dintorni . ha qualche nomi da comunicarmi?grazie mille.

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