Giovanni Grazia, primario di Ostetricia, e Cristina Marzari, coordinatrice ostetriche

Colori pastello, toilette, zona per trattare il neonato. Le sale parto inaugurate un anno fa nel reparto di Ostetricia dell’ospedale di Ravenna sono di certo belle e funzionali, secondo il primario Giovanni Grazia. La donna entra ben prima della fase espulsiva, può avere fino a due persone accanto a lei, vede suo figlio mentre viene lavato e vestito e non viene mandata in stanza in quattro e quattr’otto. Ma Grazia ragiona per obiettivi, più che per risultati già raggiunti. E sa che di passi da fare ce ne sono ancora molti.
Dottore, quale aspetto le sta più a cuore al momento?
“L’integrazione con le Ostetricie di Faenza e Lugo. Nell’ottica dell’ottimizzazione, non bisogna abbassare il livello delle prestazioni. La mia idea è di tenere alta la qualità in tutte le sedi. Per farlo, bisognerebbe dividere i parti a seconda delle caratteristiche, distribuendo i compiti tra il personale. Nel frattempo, avere un luogo dove gestire le emergenze”.
Capita spesso che vi troviate in difficoltà?
“Spesso no. Ma capita. Ci vorrebbe, per esempio, una sala operatoria esclusiva per ostetricia, in aggiunta a quella dove operiamo le pazienti per i tumori. Questo ci consentirebbe di fornire meglio i servizi richiesti per le patologie ostetriche, legate per esempio, ma non solo, all’interruzione di gravidanza”.
Problemi anche sul versante posti letto?
“Siamo arrivati a 25 in Ostetricia, 10 in Ginecologia e 4 in Day Hospital. Non sono ancora molti. In certi momenti c’è un afflusso notevole e capita di non avere il letto per qualcuna. Stiamo tamponando la situazione utilizzando le sale parto in modo innovativo, tenendo quindi la donna dentro per qualche ora dopo la nascita del bambino e cercando di distribuire i cesarei programmati. Torniamo al discorso di prima. I centri limitrofi dovrebbero agire da filtro anche nei confronti di questo problema”.
Il reparto ha fatto però anche grandi evoluzioni, introducendo tra le altre cose il parto in analgesia gratuito…
“Di questo vado fiero, certo. Fatti cento i parti spontanei, 60 avvengono in analgesia. E’ un dato buono. C’è poi da dire che una percentuale di donne che scelgono l’epidurale, al momento del parto poi cambia idea. Stiamo parlando di un 10%”.
E sui cesarei, come ve la cavate?
“Stiamo facendo un lavoro prima di tutto culturale, attraverso un ambulatorio dedicato ai cesarei, dove spieghiamo alle pazienti costi e benefici, soprattutto in casa di cesarei ripetuti. Alle donne che hanno già subito un cesareo diciamo che la seconda volta possono partorire spontaneamente”.
Questo si sta traducendo in un’effettiva diminuzione?
“Nei primi otto mesi del 2012 il calo è stato del 4%. In numeri assoluti eseguiamo circa 500 cesarei all’anno, su 1650 parti totali”.
Un 30%, insomma. Che cosa ci dice questo dato?
“Ci racconta che il reparto segue i parti prematuri e le patologie ostetriche, che hanno una probabilità maggiore di concludersi con un cesareo. Non dimentichiamo poi la migrazione delle pazienti da altri territori. In molti casi, se scelgono il cesareo, decidono di farlo qui”.
Questo dovrebbe renderla fiera. In questi sei anni cosa l’ha soddisfatta di più?
“L’apertura del mio reparto verso strutture esterne come il Sant’Orsola, il Maggiore e il Buzzi di Milano. Siamo andati in competizione con ospedali importanti, questo mi motiva a fare sempre meglio. Adesso abbiamo la possibilità di lavorare sul prenatale ma i tempi non sono maturi per parlare di un vero progetto”.
Nel frattempo avete anche intensificato gli esami prenatali?
“Sì, introducendo il B-test e aumentando il numero di villocentesi. Ne eseguiamo 200 all’anno ma contiamo di raddoppiare presto”.